Brutto, cattivo e immarcabile. Tutto su James Harden, il nuovo re dell’Nba

Brutto, cattivo e immarcabile. Tutto su James Harden, il nuovo re dell'Nba

“Il barba” è uno tosto. Magari, dietro quell’aria truce che s’è costruito, se la ride alla grande delle leggi di gravità, dei luoghi comuni, dei muscoli che gli si parano minacciosi davanti di continuo, dei secondi che scandiscono le ultime azioni di partita, del ruolo di primattore, immarcabile, della condanna di bersaglio di tutti i difensori. 

“Il barba”, James Edward Harden Jr, nato il 26 agosto 1989 a Los Angeles, California, terza scelta 2009 di Oklahoma, dal 2012 stella degli Houston Rockets, è il Michael Jordan della moderna Nba, col suo – appena – 1 metro e 96 di altezza, per 100 chili di peso, cui aggiunge una montagna di talento, elasticità, genialità che scintillano continuamente sui parquet del basket più difficile che ci sia. Stupendo sempre, anche adesso, anche nella stagione regolare a Ovest, orgoglioso della maglietta di MVP, Most Valuble Player, il giocatore più completo, del 2018.

I record stagionali

L’ultimo flash della guardia tiratrice più micidiale che ci sia è impressionante e ci regala Harden, giovedì, che emerge – chissà come, proprio come i miracoli di MJ – dal grappolo di magliette gialle di Golden State, a sbarrargli la strada in una morsa: davanti, con Drymond Green, e lo pressano dietro, con Klay Thompson. Mancano appena tre secondi alla sirena, dopo la rimonta da -20, gli stanno tutti addosso per evitare il suo tiro, eppure “il barba” infila da tre punti la retina del sorpasso, da -2 a +1. Non è una partita qualsiasi: lo fa in casa dei campioni dell’Anello, i mitici Warriors, dei tiratori più famosi dell’Nba, Kevin Durant e Stephen Curry, e perciò l’impresa vale doppio e rafforza la firma sulla settima vittoria consecutiva della squadra, la undicesima su dodici partite.

Certo, i compagni l’aiutano, perché, contro Golden State, gli hanno concesso 23 tentativi da tre (10 canestri), che è la percentuale più alta dopo i 24 di Klay Thompson il 31 ottobre a Chicago, ma lui dà soddisfazione: è il primo Nba anche in questa decisiva specialità, con 162 centri su 416. E, con gli ultimi 44 punti – più 10 rimbalzi e 15 assist -, mette un’altra sottolineatura al suo mito: è la seconda doppia tripla della settimana, l’ottava partita consecutiva nella stagione (battendo il record di Curry a quota 7), è il quinto match di fila in cui realizza almeno 40 punti, in una serie di undici partite, dal 13 dicembre, in cui mette a segno almeno 30 punti, con l’acme dei 50 punti contro i Los Angeles Lakers di LeBron.

Con una media di 33,6 punti a partita è il miglior marcatore Nba, con 1,098 punti, davanti a Durant 1,084 e Lillard 1,016, con la media di 8,6 assist è il quarto nei passaggi, con 2,06 è il quinto “Arsenio Lupin” nel rubar palla, ed è il primo nei liberi con 318 su 374.

Una carriera impressionante

Il suo record di punti è fermo ai 60 punti del gennaio 2018 contro Orlando, ma certo, nella sua già fulgida carriera, fanno più scalpore il premio di Sesto uomo dell’anno, già nel 2012, quando portò la sua franchigia alle finali Nba, e l’MVP 2018 – unico con Bill Walton a fregiarsi delle due etichette -, dopo il secondo posto 2014-2015 dietro Curry, le sei convocazioni all’All Star (la stellare sfida Est-Ovest dei magnifici dodici Nba), i due ori in nazionale all’Olimpiade 2012 e ai Mondiali 2014 e anche il contratto di sponsorizzazione del 2015 con Adidas (200 milioni di dollari per 13 anni) e il rinnovo che lo lega a Houston fino alla stagione 2022-23: sei anni garantiti per 228 milioni di dollari, il più ricco dell’Nba. Del resto ne aveva rifiutati 52 per un quadriennale coi Rockets…

Tiri liberi

“Vado troppo spesso in lunetta per i tiri liberi? Beh, i miei avversari dovrebbero smettere di farmi fallo ogni volta che vado al ferro. La soluzione è semplice. no?”. Così “Il barba” zittisce chi influenza gli arbitri e cerca di sminuire la potenzialità di Harden nel guadagnarsi falli in entrata e nell’incrementare il bottino di punti nei tiri liberi, con la seria possibilità di chiudere la stagione da numero 1 della specialità per il quinto anno di fila. Contro i Lakers ne aveva segnati 18 su 19. “James è bravo di suo a farti trovare con le “mani nella marmellata”, non possiamo permetterci di mandare così tante volte in lunetta uno che può penetrare e tirare da 8 metri in step-back. Se gli permetti di vedere la palla entrare così facilmente così tante volte, è finita, si esalta ancor di più”.

Fervente cattolico e grande provocatore

Fervente cattolico, Harden proclama: “Ringrazio Cristo per ogni momento che mi regala nella vita”. Sin da ragazzo, soffre di asma. Il suo primo idolo fu Manu Ginobili. La barba se la lascia crescere dal 2009: ha cominciato per pigrizia, e poi ne ha fatto un marchio di fabbrica. Tanto che è apparsa in alcune canzoni e T-shirt, oltre a essere il trade-mark dei suoi social, e a diventare un progetto, firmato dal disegnatore Filip Peraic in una varietà di stili e tecniche. 

Harden il fenomeno non potrà mai dimenticare il suo record in negativo, 13 palle perse, record in una partita di playoff del 2015 contro Golden State: “È difficile perdere in questo modo, soprattutto pensando a quello che ho combinato io stesso: ti metti addosso tanta pressione per essere davvero bravo ogni singola partita e certe volte non ci riesci, stavolta non ci sono riuscito”.

Parole ben diverse da quelle pronunciate dopo l’ultimo colpaccio a Golden State: “Dov’è il mio morale? Oltre il tetto… Non so a che livello collocare questo successo, sono solo felice di venire via con la vittoria e di aver dato il mio contributo esprimendomi al più alto livello”. Belle parole, eh? Il barba può essere anche molto rude. Due anni fa l’ex coach dei Rockets, Kevin McHale, aveva detto: “Harden è un gran giocatore, ma non ha la personalità del leader”. E James aveva risposto: “E lui è un clown, io di certo non parlo alla gente dietro le spalle o non dico in giro il contrario di quello che dico quando gli parlo in faccia”.

Ma la provocazione è sicuramente lo stimolo in più per trascinare Houston, conquistare l’Anello e far felice il suo primo tifoso, coach Mike D’Antoni, una delle star dell’imbattibile Milano del triplete. Che ridacchia: “Magari considereranno James per il MVP, non so, voi che dite?”. I bookmakers di Las Vegas lo danno 7/4, davanti a Giannis Antetokounmpo (5/2), LeBron James (9/2) e Anthony Davis (6/1). Uno che dice: “Mi marcavano stretto in due? Non importa, l’importante è crederci e fare le cose giute, abbiamo girato l’angolo, dobbiamo solo star bene fisicamente e andare fino in fondo”.

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