I migranti della Sea Watch non capiscono perché nessuno li vuole

Migranti Sea Watch

Hanno gli occhi bassi, e lo sguardo che si perde nel mare, non riescono a distoglierlo a lungo dalla costa maltese, così vicina ma per loro ancora off limits. Mi viene in mente Massimo Troisi quando, in un film, fissa la tv sperando che questa si muova per andargli incontro. Qui a bordo della Sea Watch, che ospita 32 migranti raccolti in mare il 22 dicembre scorso, però la situazione non fa ridere neanche un po’.

A bordo della Sea Watch

Dopo un’attesa di giorni, l’Agi ha avuto il permesso di andare a bordo, insieme ad altri rappresentanti dei media. Ma prima, con il nostro rimorchiatore abbiamo affiancato la Sea Eye, l’altra nave umanitaria ferma in acque maltesi, con a bordo 17 migranti, per un veloce passamano di cassette di acqua, frutta e verdura. Poi finalmente saliamo sulla Sea Watch.

Il primo incontro è con Achyil, 16 anni, del Sud Sudan, stringe in braccio un bimbo piccolo, che coccola tutto il tempo. È’ Habiba, ha un anno, ed è diventato la mascotte del gruppo. Achyil ai piedi ha solo le infradito, il piccolo è a piedi nudi. Noi, per contro, abbiamo almeno tre stati di indumenti.

Nel suo inglese imparato “guardando tanti film alla televisione” ci racconta che il suo sogno è fare il dottore, “nel mio Paese ho visto troppe persone morire. Vorrei salvare delle vite. Avere un futuro, che da noi non è possibile”.

“Perché nessuno ci vuole?”

Dopo di lui, sul ponte arrivano Mamadou, 16 anni della Guinea, e dalla Nigeria Diamond, 25 anni, Austin, 25, ed Emmanuel, 35. Le loro storie sono tragiche e semplici allo stesso tempo. Tutti scappano da Paesi dove rischiavano la vita ogni giorno, la prigione, dove non avevano speranza. Erano consapevoli del rischio di attraversare il mediterraneo ma non c’era alternativa – dicono – se volevano provare ad avere una prospettiva migliore. E adesso sognano solo una cosa: “la libertà”.

Non capiscono perché nessun Paese li vuole e sono terrorizzati dall’idea che vengano riportati in Libia. È questo l’incubo peggiore. Mentre ne parlano si agitano. “Siamo qui da 18 giorni. Chi ci assicura che se nessuno ci vuole, questa nave non ci riporti in Libia?” dice Emmanuel, il più silenzioso di tutti, che a un certo punto mi mostra le cicatrici che ha in testa e sul collo. Non ce la fa a raccontare come se le è procurate. “È troppo doloroso, se ci penso impazzisco, torna l’incubo”.

Una bomba a orologeria

Il dottore di bordo, Frank Dorner, non a caso parla di stress post traumatico. Ribadisce la sua preoccupazione per la salute fisica e mentale di queste persone che potrebbero compiere atti di autolesionismo, potrebbero mettere in pericolo la propria vita. Già alcuni giorni fa tre di loro avevano rifiutato di bere e mangiare.

Ripete il suo appello ai Paesi europei che fino a questo momento hanno “fatto solo parole”. “È disumano come l’Europa sta trattando queste persone. E io, come europeo, mi vergogno”. 

Diamond si è seduto accanto a noi. La nave ha iniziato a ballare e si fa fatica a stare in piedi. “Stiamo male” ci racconta “stiamo impazzendo, a stare qui tutto il giorno, giriamo su noi stessi, avanti e indietro, come in una gabbia. Stiamo male” ripete. “Tutto il mondo conosce la situazione della Libia” interviene Mamadou “ma non hanno idea di quello che abbiamo passato”.  “Vediamo la costa. Ma siamo fermi qui, perché nessuno ci accetta? Forse loro pensano che siamo cani”.

‘Loro’ sarebbero tuti i Paesi europei che non hanno ancora trovato un accordo sulla distribuzione dei migranti. Ma non c’è rabbia nelle parole di questo ragazzone alto 1,90, solo tristezza. “Capiamo che ogni Paese ha le sue leggi” dice “Andremo nel Paese che ci accetta. Io vorrei fare il dottore, nel mio Paese ho visto troppe persone morire”. Ci raggiungono due egiziani, dall’età indefinita: “chiediamo un posto sicuro dove vivere, e fare il nostro lavoro, siamo artigiani.

In tutto questo il meteo sta peggiorando. Il capo missione Kin Heaton-Heather, da un anno e mezzo a bordo della Sea Watch per numerose missioni umanitarie, ci dice che è attesa una perturbazione, scenderà la temperatura e saliranno i venti. E loro, i migranti, dormono sul ponte della nave: sulla loro testa c’è solo una tenda parasole.

In tutto hanno a disposizione 8 letti, che hanno lasciati alle donne e ai bambini. Per tutti gli altri, e sono 24, c’è il pavimento di ferro dell’imbarcazione. Al posto dei cuscini usano i giubbotti salvagente.

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