Il reale rischio che i migranti portino malattie nei Paesi che li ospitano

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Mirco Toniolo Errebi / AGF 

Pegolotte di Cona, migranti in marcia verso Padova dal centro di accoglienza Conetta 

I migranti possono essere più vulnerabili sia nei luoghi di origine, sia di transito che di destinazione, a causa dell’alta prevalenza di malattie infettive in alcuni Paesi di partenza, dei problemi nell’accesso ai servizi sanitari o di condizioni di vita deprivate nei Paesi di transito e destinazione. Ma c’è un rischio molto basso di trasmissione di queste malattie alla popolazione dei Paesi ospitanti.

È quanto emerge dal ‘Report on the health of refugees and migrants in the Who European Region: no public health without refugee and migrant health’, di cui l’Inmp (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della povertà) ha coordinato le attività di studio epidemiologico.

Il rapporto ha raccolto ed analizzato più di 13.000 documenti di letteratura a partire dal 2014, sullo stato di salute dei rifugiati e dei migranti presenti nei 53 Paesi della Regione europea dell’Oms. Secondo gli elementi che sono stati evidenziati dalla ricerca, la maggior parte di coloro che giungono nei Paesi europei è sostanzialmente in buona salute, confermando l’ipotesi del “migrante sano”, legata alle buone condizioni di tali individui alla partenza.

Anche se i migranti arrivano nei Paesi ospitanti sani, esiste una vasta gamma di problematiche sanitarie, come le malattie non infettive, la salute materno-infantile e la salute dei lavoratori, che secondo il Rapporto Oms richiedono politiche mirate e culturalmente orientate. L’impatto con gli stili di vita del tutto differenti aumenta in chi arriva sia il rischio di malattie croniche cardiovascolari, di cancro e di obesità sia l’insorgere di ansia e depressione.

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Afp

 Sbarchi di migranti

“Si tratta del primo rapporto per l’Oms – ha spiegato in conferenza stampa Piroska Ostlin, deputy regional director Oms Europa – e dimostra che i rifugiati e i migranti godono di buona salute. Ciò è comprensibile visto il lungo viaggio che devono affrontare. Emerge, invece, che rischiano di ammalarsi una volta arrivati nei Paesi ospitanti soprattutto se adottano stili di vita malsani”.

I dati del Rapporto evidenziano che molte malattie non trasmissibili tra i rifugiati e i migranti appena giunti, sembrano avere tassi di prevalenza più bassi rispetto alla popolazione che li ospita, ma i due tassi iniziano a convergere man mano che aumenta la durata del soggiorno del migrante nel Paese; questo è particolarmente evidente per l’obesità. Inoltre, sebbene i rifugiati e i migranti abbiano un rischio più basso per quasi tutte le neoplasie, è più probabile che queste possano essere diagnosticate in una fase più tardiva rispetto alla popolazione ospite.

La salute mentale del migrante, che può già risentire di esperienze traumatiche legate al percorso migratorio, può addirittura peggiorare, come nel caso della depressione, una volta raggiunto il Paese di destinazione, per via delle cattive condizioni socioeconomiche e dell’isolamento sociale. Il Rapporto sottolinea, infine, come i migranti nei luoghi di lavoro mostrino, tra gli uomini, incidenti più frequenti rispetto ai cittadini residenti, con condizioni di impiego e di accesso alla protezione sociale e sanitaria molto difformi.

“È importante proteggerli – ha aggiunto Piroska Ostlin – dalle malattie e dare loro le cure di cui hanno bisogno. Partendo da questa base scientifica, È possibile eliminare alcuni dei miti che esistono sulla salute dei migranti. Grandi cambiamenti non ci possono essere finché non li includiamo nel nostro sistema e non forniamo loro ciò di cui hanno bisogno. Non basta curarli, ma bisogna mantenerli in salute. Sono convinta – ha concluso – che i sistemi sanitari possano svolgere un ruolo fondamentale nel mantenere in salute queste persone e dare loro assistenza quando si ammalano. Se riusciremo a farlo, i risultati saranno straordinari per tutta la società”.

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