L’oscuro passato del portiere che infranse i sogni della Roma nel 1982 

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 (Afp)

Bruce Grobbelaar

Chi sia Bruce David Grobbelaar i tifosi romanisti se lo ricordano molto bene: è la finale di Coppa dei Campioni del 1984 e la Roma gioca proprio tra le mura amiche dell’Olimpico contro gli inglesi del Liverpool.

I tempi regolamentari finiscono 1-1 e per la prima volta il trofeo per club più prestigioso verrà assegnato ai calci di rigore. In porta nel Liverpool gioca proprio lui, Grobbelaar, portiere che viene dallo Zimbabwe, ma è bianco (cosa che in patria a inizio carriera non gli ha affatto reso la vita facile) e lo show che metterà in scena durante la famigerata lotteria dei rigori entrerà nella storia del calcio, sicuramente romano: strizza l’occhio ai fotografi dietro la porta, addenta le intelaiature della rete come se fossero spaghetti e quando davanti a lui si presentano Bruno Conti e Ciccio Graziani mette in scena sulla linea di porta una coreografia dinoccolata alla Adriano Celentano, passata alla storia come “Spaghetti Legs”, che distrae e costringe all’errore i due campioni del mondo e consegna di fatto la coppa in mano agli inglesi.

E a lui che è africano, e sarà il primo della storia a issarla. Un comportamento, quello del portiere, più volte contestato anche dalla stampa britannica (per la quale da quella partita in poi diventerà “Il Clown”), che non lo ha mai amato particolarmente a causa di atteggiamenti in campo considerati sempre troppo spavaldi e spesso violenti. Ma lui non ha mai fatto una piega, ha sempre lasciato correre.

L’accusa di associazione a delinquere

Non aiutò nemmeno quando nel 1994, ormai conclusasi la sua esperienza in uno dei Liverpool più forti e vincenti della storia, dovette affrontare una vicenda pesante portata alla luce dal The Sun, che pubblica le prove di una sua implicazione in gare truccate; viene accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, viene assolto in tribunale ma il giornale ricorre in appello e i documenti finiscono in mano alla commissione Giustizia della Camera dei Lord; questa sostiene che pur non essendoci prove contro Grobbelaar, tuttavia vi erano fondati motivi di dubitare della sua onestà, così al portiere fu riconosciuto un risarcimento danni pari a una sterlina, e un rimborso spese legali nei confronti del Sun pari a 500.000.

Lui 500mila sterline non ce le ha così viene ufficialmente dichiarato fallito dal tribunale. La sua reputazione è macchiata a vita.  

Ma anche in quell’occasione lascia correre, sempre, sostenendo che il calcio non andava preso troppo sul serio, che lui aveva visto delle cose nel suo paese che ridimensionavano l’agonismo sportivo ai livelli di un te in un circolo di cucito.

La tragedia dell’Heysel

Solo un avvenimento nella sua vita calcistica riuscì a scuoterlo davvero e avvenne il 25 maggio 1985 quando fu testimone dal campo di una delle pagine più nere della storia del calcio: la tragedia di Heysel. 39 persone morirono prima di quella finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, 32 italiane, a causa di disordini causati ufficialmente da hooligans inglesi.

Ma Grobbelaar a quelle accuse non ha mai creduto, anzi, come racconterà molti anni dopo a Repubblica, era convinto che dietro quel comportamento assurdo ci fosse l’organizzazione del National Front, l’estrema destra inglese, in quegli anni legata alle tifoserie di diverse squadre di Londra. Tentò addirittura di infiltrarsi nell’organizzazione per raccogliere delle prove a tal proposito, ma inutilmente.

Solo i morti e le facce sofferenti che vide quel giorno nello stadio belga dopo la caduta di quel muro ancora affliggono il suo sonno, solitamente tranquillo ora che vive in Canada, dove giocava prima dell’avventura inglese, e allena i portieri per una squadra locale.

L’orrore visto in Zimbabwe, dove combattè la guerra di indipendenza. E uccise

Un passato dal quale però non può sfuggire e quella fitta nebbia che lo ha sempre avvolto si dissolve oggi, in un’intervista fiume al The Guardian, dove la personalità di uno dei calciatori più odiati degli anni ’80 assume tutt’altra luce dinanzi ai racconti della sua adolescenza in Zimbabwe, che ai tempi non si chiamava nemmeno Zimbabwe ma Rhodesia. Si, perché era appena un adolescente quando prende un fucile in mano per combattere la guerra di indipendenza a fianco dei militanti marxisti dello ZANU guidati dal futuro presidente Robert Mugabe.

La narrazione di quei giorni di sanguinosa guerriglia è agghiacciante: “La mia prima volta era al crepuscolo. Mentre il sole cala, vedi ombre nella boscaglia. Non puoi riconoscere molto bene le figure finché non vedi il bianco dei loro occhi. Sei tu o loro. Spari, cadi e si innesca una sparatoria travolgente. Senti le voci dalla tua parte: “Ehi, caporale, sono colpito”. Stai fischiando per zittirle altrimenti saremo tutti uccisi. Quando lo scontro a fuoco è finito, vedi corpi dappertutto. La prima volta – dice parlando della prima volta che ha tolto la vita ad un altro uomo Bruce David Grobbelaar – tutto ciò che hai nello stomaco ti viene fuori dalla bocca. Quanti ne ho uccisi poi? Non saprei dirlo”.

Ma lui non dimentica, non può dimenticare un simile orrore. Come quando vedeva un suo compagno di battaglia tagliare via un orecchio ad ogni sua vittima per poi conservali tutti in barattoli che teneva gelosamente in casa: “La sua famiglia era stata brutalizzata e voleva vendicarsi”, o come quando due suoi commilitoni si chiusero in bagno e si uccisero, simultaneamente, quando li avvisarono che avrebbero dovuto passare altri sei mesi in quell’inferno: “Non potevano affrontarlo”.

Poi il calcio, che come sentiamo spesso in numerose interviste, sostiene gli abbia salvato la vita, distraendolo da i ricordi dell’orrore vissuto, un ricordo dal quale non sfugge e che oggi, anzi, lo aiuta a capire il valore della serenità che è riuscito faticosamente a costruirsi. “Posso solo chiedere scusa per il passato. – conclude Il Clown – Non posso cambiarlo.”  

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