Perché il Csm ha deciso di ‘assolvere’ Salvini dopo lo scontro con Spataro 

Perché il Csm ha deciso di 'assolvere' Salvini dopo lo scontro con Spataro 

Non ci sarà alcuna pratica a tutela, perché “le espressioni adoperate dal ministro dell’Interno non appaiono costituire critica all’esercizio della funzione giurisdizionale”, la cui indipendenza non è quindi stata lesa. Così il Csm chiude lo scontro tra Matteo Salvini e Armando Spataro, magistrato ‘simbolo’ della lotta al terrorismo che fino al 17 dicembre scorso – giorno in cui è andato in pensione – ha guidato la procura di Torino.

Il 4 dicembre scorso, di buon mattino, Salvini prima in una nota, poi su Twitter, oltre che di un’operazione dei carabinieri a Palermo contro la “nuova cupola di Cosa nostra”, riferiva che “anche a Torino altri 15 mafiosi nigeriani” erano stati fermati dalla polizia, che poi aveva ammanettato “otto spacciatori (titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari e clandestini) a Bolzano”.

L’annuncio, nelle ore successive, aveva provocato la reazione di Spataro: il procuratore capo di Torino, con una nota, interveniva augurandosi: “Per il futuro, il ministro dell’Interno eviti comunicazioni simili o voglia quanto meno informarsi sulla relativa tempistica al fine di evitare rischi di danni alle indagini in corso, così rispettando le prerogative dei titolari dell’azione penale in ordine alla diffusione delle relative notizie”.

Spataro, infatti, sottolineava che “al di là delle modalità di diffusione, la notizia in questione è intervenuta mentre l’operazione era (ed è) ancora in corso con conseguenti rischi di danni al buon esito della stessa”. Poco dopo la replica del ministro: “Basta parole a sproposito. Inaccettabile dire che il ministro dell’Interno possa danneggiare indagini e compromettere arresti. Qualcuno farebbe meglio a pensare prima di aprire bocca. Se il procuratore capo a Torino è stanco, si ritiri dal lavoro: a Spataro auguro un futuro serenissimo da pensionato”.

La polemica, la solidarietà dei colleghi di Spataro

La polemica, quindi, era stata innescata: immediata la solidarietà di colleghi e di esponenti politici a Spataro, al quale, con una telefonata, il vicepresidente del Csm David Ermini esprimeva “apprezzamento per il lavoro che sta svolgendo e pieno riconoscimento per l’alta professionalità e per l’impegno dimostrati in tutti questi anni” come “grande e leale servitore dello Stato che non puo’ essere in alcun modo messo in discussione da toni sprezzanti”.

Il numero due di Palazzo dei Marescialli osservava in particolare che “il lavoro serio, puntuale e rischioso che la magistratura porta avanti ogni giorno non può e non deve essere utilizzato per scopi di propaganda” e i togati di Area (il gruppo progressista delle toghe, che ha riunito Magistratura democratica e Movimento per la Giustizia, al quale Spataro ha sempre aderito) chiedevano l’apertura della pratica a tutela, istanza oggi archiviata come proposto all’unanimità dalla Prima Commissione.

La ‘querelle’ Salvini-Spataro è rimasta per giorni nel dibattito – a tratti anche aspro – sui rapporti tra politica e magistratura, sia all’interno dell’Associazione nazionale magistrati che a Palazzo dei Marescialli: “Va ribadita la necessità che siano rispettati i ruoli previsti dall’ordinamento e le prerogative a ciascuno riconosciute, auspicando che ogni legittimo confronto e le connesse posizioni siano portate avanti abbassando i toni e rispettando i profili e i percorsi professionali”, dichiarava il presidente dell’Anm Francesco Minisci.

Per il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, invece, la cosa più importante era “chiarire” il “cortocircuito comunicativo”: “Le indagini devono essere portate avanti nel rispetto di tutte le regole: non ho alcun dubbio – affermava Bonafede – che sia Salvini che Spataro volessero fare un’azione e comunicare la loro azione nell’assoluto rispetto delle esigenze di sicurezza”.

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