Campioni alle Olimpiadi? Questione di testa, e ci vuole il ‘mental coach’

AGI – “Se la mia mente può concepirlo, allora io posso compierlo”, amava ripetere uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, Muhammad Ali. “Per gli sportivi che vogliono diventare campioni, la mente può essere altrettanto importante, se non più importante, di qualsiasi altra parte del corpo”, diceva Gary Neville, uno dei simboli del Manchester United e della nazionale inglese degli anni Novanta e Duemila. La bibliografia è piena di riferimenti al peso che la psiche ha nel conseguimento di risultati sportivi e nel processo di maturazione dell’atleta. Eppure in Italia la figura del mental coach si sta facendo strada solo negli ultimi anni, tanto che per completare un percorso specifico in questo ambito si è spesso costretti a studiare all’estero.

È la strada scelta da Luca de Rose, 36 anni, napoletano, che farà parte dello staff dell’Italia Team alle Olimpiadi di Tokyo. Conseguita la laurea in Psicologia e la specializzazione, ha frequentato diversi master, di cui due all’estero, in Psicologia dello sport. Dopo il corso di preparazione al Centro olimpico ‘Giulio Nesti’ del Coni, ha cominciato a lavorare nel 2014.

“La prima atleta che ho seguito – racconta all’AGI – è stata la sciabolatrice Rebecca Gargano, argento individuale ai Giochi europei di Baku nel 2015 e oro a squadre ai mondiali del 2015 in Uzbekistan e alle Universiadi di Napoli nel 2019. Ora è nel gruppo sportivo dell’Aeronautica militare e sarà una delle atlete che rappresenterà l’Italia a Tokyo”. Grazie ai risultati ottenuti e al passaparola, si è cimentato nel tempo anche con altri sport, dal tennis (che pratica anche come atleta), al basket e alla pallavolo. Poi è arrivato l’incontro con la Fijlkam e l’approccio con le arti marziali, di cui si occuperà nello specifico a Tokyo.

“Sono nell’Italia Team dal 2018 – precisa – e per me sarà la prima olimpiade in questo ruolo. Per la parte femminile siamo tre mental coach, io seguo atlete che provengono dal Centro-Sud e che praticano judo, lotta, karate, ma anche nuoto e tennis. Sono comunque a disposizione del team olimpico, tenendo conto che alcuni preferiscono avvalersi del proprio staff, come Federica Pellegrini, che ha il suo psicologo dello sport. De Rose è uno dei pochi in Italia che applica un metodo pratico, lavorando sui riflessi e sulla gestione emotiva. “Il mental coach è innanzitutto uno psicologo – spiega – perché dietro l’atleta c’è la persona. Bisogna distinguere l’intervento clinico, che in alcuni casi può essere necessario se c’è una sofferenza emotiva, dalla psicologia dello sport. Io lavoro con l’esercizio fisico, alleno l’attenzione, i riflessi, anche attraverso le tecniche di training autogeno, mindfulness e visualizzazione. Tutto ciò che serve a trovare attenzione e concentrazione durante le gare”.

L’approccio è quello della ‘psicologia del benessere’. “Essere atleta è una condizione mentale – evidenzia – alle ragazze dico sempre che, oltre a vincere, occorre essere esempio per gli altri, far vedere il bello dello sport. Avere un sano equilibrio psichico è una condizione necessaria per fare questo, oltre che per ottenere risultati sportivi”. Dopo le diffidenze iniziali, gli allenatori apprezzano questo tipo di intervento e ne vedono i risultati, anche sul piano della gestione della rabbia agonistica. “Se un atleta è arrabbiato – evidenzia – non si esprime bene, se invece riesce a tradurla in aggressività può diventare un atleta vincente. Si tratta di contenere e gestire le emozioni”. Sul lavoro di Luca nell’ultimo periodo ha influito molto la pandemia da Covid-19. “Le atlete hanno tra i 20 e i 30 anni – fa notare – e come tutti i ragazzi vivono di studio, sport e vita sociale, che sono venuti meno in questi mesi. Per chi si allenava 5, 6 o 10 ore al giorno, c’è stato un problema di identificazione, disturbi alimentari, ma anche di ansia o timore di andare fuori forma. Ho registrato casi di overtraining da parte di chi si è allenato più del dovuto per mantenere la condizione. Per qualcuno c’è stato anche un inizio di dropout, dovuto all’idea di non riuscire più a recuperare e quindi di voler abbandonare l’attività”.

Lo spostamento della data delle Olimpiadi ha consentito di poter lavorare con più calma su queste situazioni, grazie anche alla lungimiranza team italiano, che si è appoggiato molto al sostegno psicologico. “Personalmente l’ho improntata molto sul meccanismo di sfida – racconta de Rose – spiegando loro che l’atleta si vede nelle difficoltà e che avevano l’opportunità di dimostrare quanto valgono. La riapertura e la conferma dello svolgimento delle Olimpiadi ha fatto il resto”. Grazie alla campagna di sensibilizzazione lanciata dal Coni e dall’Italia Team, la figura dello psicologo dello sport sta trovando sempre più spazio. Guardando al futuro, Luca tira fuori dal cassetto il suo sogno: “Quando giocavo a tennis il preparatore atletico non era così comune come oggi – ricorda – ora è presente in qualsiasi centro sportivo. Mi piacerebbe che il mental coach fosse presente in ogni realtà, anche nelle palestre, e che tra 15-20 anni diventi una figura fondamentale nello staff di ogni atleta. A questi ragazzi vengono richiesti impegno e maturità non consoni alla loro età e su questo il supporto psicologico può essere determinante”. 

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