Il banchiere Zanetti assolto a 90 anni: “Anni duri con i pm accaniti, ma ora sorrido” 

AGI  – “Tra qualche giorno compirò 90 anni, per fortuna in buona salute, e oggi mi piace pensare che questi sette anni siano stati solo una triste parentesi di una vita ricca di soddisfazioni professionali. Ma sono stati anni molto duri, soprattutto gli ultimi tre di dibattimento con oltre 60 udienze alla continua ricerca, da parte della Procura, di qualche appiglio che potesse dare dare sostanza a delle accuse del tutto inesistenti”. Per la prima volta in questi anni alla sbarra, al termine del processo finito un’assoluzione nel merito dall’accusa di essere stato artefice assieme a Giovanni Bazoli di un patto illecito che diede vita a Ubi Banca (poi incorporata da Banca Intesa Sanpaolo), Emilio Zanetti, per decenni big della finanza lombarda, decide di parlare coi media.

“Proprio a me che ho speso tutta la vita al servizio della Banca” 

Lo fa con l’AGI a pochi giorni dall’8 ottobre, col  verdetto del processo in cui si ipotizzavano a carico suo e di altri 28 assolti reati maturati nel contesto della fusione tra le BPU – Banche Popolari Unite  e Banca Lombarda per un accordo illecito tra l’associazione Ablp dei soci bresciani capeggiata da Bazoli  e la sponda bergamasca di Amici di Ubi Banca con alla guida Zanetti.

“Può ben immaginare cosa abbia significato per me, per mia moglie, per tutti i miei cari, subire per un tempo così lungo un’accusa tanto grave e davvero lontana dal mio vissuto: sono stato imputato per reati commessi nell’esercizio delle mie funzioni di vertice di UBI Banca, quando ho speso tutta la mia vita al servizio di questa banca”. Zanetti ripercorre i due capi di imputazione.

“L’accusa di ostacolo era paradossale. I rapporti con Banca d’Italia e Consob sono stati sempre improntati alla massima collaborazione e anzi, nel periodo della fusione tra Banca Popolare di Bergamo e il Banco di Brescia, che ha dato origine a UBI Banca, Banca d’Italia ci ringraziava perché avevamo raggiunto un’intesa impensabile, che aveva evitato l’acquisizione da parte di Santander. Mettere d’accordo le due anime della Banca, quella bresciana e quella bergamasca, non è stato facile, ma ci siamo riusciti proprio perché tutti i vertici, da ambo le parti, avevano come unico interesse comune quello di preservare una realtà economica essenziale per il tessuto imprenditoriale di entrambi i territori di riferimento. Del resto, già prima che iniziasse il dibattimento, la Corte d’Appello di Brescia in sede civile aveva ritenuto pienamente legittimo il nostro operato, negando che ci fosse qualsiasi patto occulto. La sentenza è stata poi  confermata dalla Cassazione”.

“La Procura aveva in mano i documenti della nostra innocenza”

Quanto all’accusa di aver alterato la maggioranza assemblare del 20 aprile 2013 attraverso l’incetta di deleghe in bianco per favorire la lista che faceva capo ad Andrea Moltrasio, Zanetti spiega che “col senno del poi, mi fa sorridere, ma quando ero imputato non riuscivo a farmene una ragione: nei mesi precedenti all’assemblea, unitamente agli altri vertici della Banca, avevamo messo in campo tutte le forze per garantire la regolarità del voto. Avevamo inviato circolari su circolari che ribadivano il divieto di delega in bianco, svolto indagini e verifiche nelle filiali, insomma, tutto ciò che era in nostro potere era stato fatto; la Procura ha insistito per affermare la nostra colpevolezza, pur avendo in mano tutta la documentazione che ci scagionava, e io di questo, da cittadino, non riuscivo a capacitarmi”.

Il Tribunale di Bergamo lo ha assolto nel merito, assieme ad altre 28 persone, più Banca Intesa San Paolo che nel frattempo ha acquisto Ubi,  da entrambe le accuse, sebbene per una delle due, il traffico di influenze, fosse scattata la prescrizione dall’estate scorsa. “Sì, i miei difensori mi hanno spiegato che, quando il reato è prescritto, l’assoluzione nel merito è un’evenienza rara, che ricorre solo quando la prova dell’innocenza è del tutto evidente. Nel nostro caso lo era”.

“Bergamo non mi ha mai abbandonato” 

Essere processato nella propria città, dove per anni ai neonati i nonni regalavano un’azione della banca cittadina, “non è stato piacevole ma sono stato felice di constatare come tutti coloro, e a Bergamo sono tanti,  che mi conoscono non hanno mai messo in dubbio la mia integrità professionale e morale e mi hanno sempre sostenuto con il loro calore. Del resto, se guardo indietro e ripercorro tutta la mia lunga vita da imprenditore e banchiere, credo di poter affermare di essermi speso molto per il tessuto economico e sociale della città, e questo i bergamaschi me lo riconoscono”.

Il silenzio di questi anni lo motiva “un po’ per la mia natura riservata, ma anche perché ho sempre avuto accanto i miei difensori,  Giuseppe Bana con il suo team,  Marcello Bana e Martina Emilia Scalia, e Filippo Dinacci, che mi hanno sempre sostenuto e rassicurato sul fatto che la verità si sarebbe imposta”.

E c’è una ragione particolare per cui, dice, oggi può definirsi addirittura felice: “L’evidenza dei fatti, rappresentata dal dispositivo della sentenza di venerdì, ha la forza di farmi riprendere il sorriso, dimenticando tutti questi anni di sofferenza. L’indipendenza dimostrata dal Tribunale mi dà ulteriore fiducia nel futuro, non tanto per me, che spero di non dovere avere di nuovo a che fare con la giustizia, ma per il Paese”. 

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