La Santuzza, la Favorita e il seggio. Una domenica surreale a Palermo

AGI – A Palermo sono in due a fare i miracoli: la Santuzza e la Favorita. La prima, Santa Rosalia, dal suo santuario in cima a Monte Pellegrino, dispensa speranza ai disperati. La seconda, molto più laicamente, ospita i sogni di gloria di centinaia di migliaia di palermitani. Domenica sera non c’è stato bisogno che la Santuzza si scomodasse a dare una mano alla Favorita, perché l’energia con cui 34 mila tifosi hanno spinto la squadra rosanero verso la riconquista della serie B sarebbe stata capace da sola di ben altri miracoli.

La serie B, già.

Potrei facilmente anticipare l’ironia di chi si stupisce del fatto che una città che ha militato in serie A ed è arrivata a disputare una finale di Coppa Italia si sia stravolta per il ritorno al campionato cadetto, ma questo esercizio lo riserviamo a quelli che non capiscono che nella festa che fino a notte fonda ha percorso le vie della città il calcio non c’entra niente. O quasi niente.

Me la sono goduta da un osservatorio privilegiato: non capisco niente di pallone e vivo da più di trent’anni lontano da Palermo quindi non ho fatto parte di quella falange che ancora a un minuto dal fischio di inizio dei play-off è rimasta attaccata al telefono scomodando parenti fino al settimo grado e amicizie capaci di esercitare ogni sorta di influenza per ottenere un biglietto per il Renzo Barbera.

Per questo mi indigna ma non mi stupisce che qualche decina di presidenti di seggio abbia deciso di disertare il proprio impegno istituzionale: con ogni probabilità si scoprirà che erano tra quanti alla vigilia del Grande Evento avevano messo le mani su un insperato tagliando e non avrebbero permesso nemmeno alla Santuzza in persona di tenerli lontani dallo stadio, figurarsi al prefetto.

La decisione di RaiDue di trasmettere la partita – non so quale altro incontro di serie C abbia mai avuto un tale onore in prima serata – magari è stata un’azzeccata scelta di marketing, ma è stata soprattutto un’operazione di protezione civile. Da giorni si rincorrevano in città le voci secondo cui i soliti ignoti avevano già messo in circolazione migliaia di tagliandi falsi e se non ci fosse stata la possibilità di vedere la finale dei play-off in tv c’è da scommettere che alla Favorita non sarebbe andata meglio che allo Stade de France per la finale di Champions.

Nel fine settimana – ma potrei dire per tutta la settimana – Palermo ha vissuto in una atmosfera di surreale sospensione. Non c’era angolo di strada in cui non sventolasse una bandiera rosanero, il mercato di Ballarò era pavesato come se si preparasse ad accogliere un sovrano e ai Quattro Canti, il centro del centro della città trasformato in isola pedonale, un colossale nigeriano interamente vestito a tema e autoproclamatosi capo-tifoseria girava in tondo in sella a un vecchio motorino dal quale un altoparlante mandava in loop l’inno della squadra.

Lo stesso clima che ho vissuto un anno fa, alla vigilia dell’impresa agli Europei, e nel 2006, l’anno del Mondiale. Vigilia e attesa. L’attesa del miracolo. Al Barbera non era in gioco il ritorno in serie B di una squadra, ma il riscatto di un’intera città.

Il precipitare del Palermo nell’abisso della serie D era avvenuto in condizioni che nemmeno nella più sconclusionata commedia degli anni ’70 (quelle con Bombolo e Alvaro Vitali, per intenderci) sarebbero state immaginate. Dopo anni di un rapporto contrastato con l’ora compianto Maurizio Zamparini – idolatrato per aver portato la squadra in Serie A e stigmatizzato per la spregiudicatezza con cui faceva cassa liberandosi dei talenti migliori condannando i rosanero a un’eterna esistenza da metà classifica – la proprietà era passata di mano in mano fino all’ignominia del fallimento.

Per una città all’eterna ricerca di riscatto, capace di dolersi della propria condizione con la stessa energia con cui se ne esalta, era stato l’inizio di una profonda depressione. Spesso lo stato di una squadra di calcio è il riflesso delle condizioni della città di cui indossa i colori e per Palermo questo vale forse più che altrove. L’inganno di una promessa mai mantenuta ha sprofondato la città – calcistica e non – in quella disperazione venata di rassegnazione che spesso viene confusa con il fatalismo e che si può sintetizzare con l’espressione: “Del resto…”, cui si può aggiungere il suffisso “…questo ci meritiamo”, oppure “…questi siamo”.

La promozione in serie B arriva in coincidenza con una stagione estiva che vede la città strapiena di turisti e l’aeroporto tornato a pieno regime. Persino l’elezione di un nuovo sindaco sembra promettere una nuova fase. Per i rosanero oggi è la serie B, domani sarà la A e poi magari la Champions. Oggi Palermo è la città delle promesse non mantenute, domani potrebbe essere di nuovo felice, dopodomani il vero centro del Mediterraneo. Non dipenderà dalla Santuzza, né dalla Favorita, ma dai palermitani, anche se ai palermitani piace illudersi che non sia così.

Certo che, a pensarci bene, se all’alba di questa nuova stagione ci sono quaranta presidenti che non si presentano al seggio per non mancare all’appuntamento con la Favorita, sono premesse che farebbero mutriare persino la Santuzza.

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