Come reagire alla pandemia, da chef. Storia di Simone Nardoni

AGI – “Quando abbiamo chiuso per il primo lockdown, praticamente dalla sera alla mattina, è stata durissima perchè non ce lo aspettavamo ma poi siamo andati avanti e ora questo risultato è straordinario. Ma non voglio piangermi addosso”. Cosi’ all’AGI lo chef Simone Nardoni racconta la sua storia, una vicenda che lo ha portato a guadagnarsi la prima stella Michelin a soli 33 anni.

“Il gusto per me è un’ossessione che arriva dalla mia memoria”, racconta il titolare del ristorante Essenza di Terracina che qualche giorno fa ha festeggiato l’arrivo del prestigioso riconoscimento in piena pandemia. Un passo avanti che lo proietta nell’Olimpo della cucina ma anche non del tutto inatteso, soprattutto per chi conosce i piatti ed è abituato a frequentare il ristorante che si è spostato da Pontinia, città natale di Nardoni, nel 2019, giusto un anno prima del lockdown.

Simone Nardoni parla da imprenditore navigato, un fare metodico lo ha portato a mettere in piedi una struttura praticamente perfetta fatta di nove dipendenti, fornitori del territorio e tanti, tanti, clienti che nei periodi di normalità arrivavano da ogni parte d’Italia per godersi il sole del Tirreno e assaggiare i suoi piatti.

La storia di questo giovane chef ruota intorno alla sua infanzia e, a ben vedere, è quella di tanti giovani che in provincia di Latina ce l’hanno fatta. I nonni di origine veneta arrivarono per partecipare all’epopea della bonifica dell’agro pontino: “Mia nonna cucinava dalla mattina alla sera – racconta lo chef -, erano cinque figlie femmine e tre maschi. In questo periodo si tirava sempre la sfoglia per fare i cappelletti, sono sicuro che anche oggi mentre parlo con lei se bussassi alla porta di una delle mie zie le troverei intente ad impastare. è per questo che ho inserito questo piatto nel mio menù, un omaggio alla mia infanzia”.

Il giovane chef, figlio di un dipendente del Cotral e di una imprenditrice agricola che produce latte di bufala per uso caseario, conosce bene i sapori delle materie di altissima qualità: “Sono appunto quei sapori, quegli aromi, quei profumi che caratterizzano la mia cucina e che in un certo senso mi perseguitano ma che sono stati la mia chiave di volta”.

Ma la storia di Simone è ancora più curiosa. Perché la cucina, quando uno gestisce un ristorante, diventa qualcosa di più serio: significa essere imprenditori. “Quando ho capito che questa storia di gestire, decidere, ordinare, programmare mi piaceva e che potevo applicarla alla passione per la cucina? È nato tutto da un campo estivo con i boy scout. Dovemmo organizzare la cucina da campo, insomma il latte per la colazione, il pranzo e la cena. Dentro di me si è acceso qualcosa che mi portava a pensare che avrei potuto fare questo nella vita. E poi quella fu l’occasione per iniziare anche a sperimentare, ad ingegnarmi: nel corso di una gara culinaria che i capi avevano organizzato per farci trascorrere il tempo, preparai uno dei dolci che mamma a casa faceva sempre, il salame al cioccolato. C’era un problema: non avevamo un frigorifero e così fui costretto ad ingegnarmi mettendo l’impasto in un sacchetto di plastica per alimenti che posizionai sul fondo di un ruscello ghiacciato e fu un successo”.

Da li’ l’iscrizione all’alberghiero di Fiuggi e poi a Formia è stata un passo obbligato poi il lavoro nei ristoranti della zona dove c’è una grande tradizione culinaria e la partenza per alcune esperienze all’estero: “La più importante per me è stata al Mugaritz di San Sebastian, in Spagna. Eravamo settanta persone a servizio in un locale che poteva ospitare cinquanta clienti: la perfezione”.

Poi il ritorno in Italia, l’apertura di Essenza a Pontinia nel 2011, il passo importante con il trasferimento nel nuovo locale a Terracina a febbraio 2019. Un luogo dalle atmosfere molto soft, un tempio elegante, sobrio e accogliente dove vengono preparati piatti elaborati ma allo stesso tempo estremamente semplici e legati a doppio filo ai prodotti del territorio. Un anno e poi la batosta del Covid che non ha impedito a Simone Nardoni di guadagnare la sua prima stella Michelin, un risultato forse difficile da capitalizzare in questo periodo: “Eravamo preoccupati per il lockdown ma devo dire che siamo andati avanti, che poi alla riapertura le cose sono andate benissimo e l’estate oltre le aspettative. Per me l’importante, oltre i riconoscimenti, è anzitutto mandare a gonfie vele la mia azienda e farlo pagando tutti regolarmente, dai dipendenti al proprietario del locale ai fornitori. Ci stiamo riuscendo. Anche oggi che siamo aperti a pranzo, lavoriamo, le persone apprezzano quello che facciamo tutti insieme, come squadra. Certamente la situazione di incertezza è fonte di preoccupazione ma devo dire che gli aiuti del Governo ci hanno dato una mano e che, tutto sommato, nei mesi scorsi abbiamo tirato fuori le forze e le risorse per andare avanti. Voglio pensare positivo, non mi va di piangermi addosso anche se ad oggi questa macchina viaggia al 40%. Però ho tempo di produrre i nostri panettoni, edizioni limitate che mettiamo in vendita per il Natale. Insomma siamo ottimisti, speriamo che non peggiori ma non ci perdiamo d’animo”. Trentatrè anni, una stella Michelin. Come dargli torto.

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