Addio a Bisteccone, cronista panzer delle imprese memorabili

AGI – Sono tutti figli suoi, quelli di oggi, i telecronisti delle grandi sfide, i raccontatori di battaglie sportive alla radio, i Caressa, i Repice, i Pardo. Giampiero Galeazzi è stato l’inventore di uno stile, di un ‘approccio’ alle gare, alle partite – lato tribuna stampa – tutto passione, pancia, voce rotta, cuore più che testa. Chiamatele, se volete, emozioni. Poca statistica, qualche aneddoto personale, Bisteccone puntava tutto sul fiato, da canottiere vero che era stato, raccontava lo sprint in apnea, solo lui riusciva a stare dietro ai remi degli Abbagnale o ai dribbling di Maradona senza disunirsi – o disunendosi, ma facendolo apposta – tenendo il ritmo che un’impresa come un giro di campo dei calciatori della Roma campioni d’Italia nell’83 esigeva (lui era laziale dichiarato, ma professionale nel profondo). 

Chi ha divorato sport alla televisione dagli anni ’80 in poi – quando ancora non c’erano le tv satellitari e quelle commerciali erano poche e non competitive per la pagina sportiva – sa che quel modo di stare dietro al microfono lo ha inventato lui ed è stato clonato e riproposto enne volte negli anni successivi, con esiti anche migliori (quelli di oggi sono più bravi, perché studiano, si informano, curano ogni dettaglio, come lui non sempre faceva, solo quando gli andava davvero).

Ma il capostipite, il fondatore del format, è stato lui, Giampiero nazionale, giornalista ultrà, che invadeva il campo al fischio finale prima degli ultrà veri e placcava i Liedholm, i Panatta, i Mennea prima che arrivassero gli altri.

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© AGF

Mara Venier e Giampiero Galeazzi

Li abbracciava, li immobilizzava (impossibile liberarsi dalla presa, anche se ti chiamavi Baresi o Platini) e gli chiedeva quello che ognuno di noi avrebbe voluto sapere in quel momento, da cronista di razza, dritto al punto. Se c’era un pacchetto di mischia con la storia in palio, lui era il primo a buttarsi dentro per tirare fuori la prima dichiarazione, la prima dedica, le prime lacrime.

Con Giampiero Galeazzi se ne va un pezzo di storia del giornalismo televisivo italiano, una voce e un modo di indossare le cuffie inconfondibile e fenomenale, unico, anche a detta di chi non ha mai sopportato tutta quella romanità ostentata e carica, quel suo puntare sulla battuta facile, quel darsi di gomito col conduttore in studio o il presidente federale appena catturato.

Bisteccone ha fatto scuola, mostrando ai suoi epigoni e discepoli involontari non solo uno stile ‘passionale’ di raccontare i fatti, ma anche la strada per fare meglio di lui. Che passa necessariamente per l’approfondimento e l’informazione continua. Molti lo ricorderanno come simpatico ed esuberante personaggio televisivo, perfetto nei ‘contenitori’ popolari e familiari, spalla di Mara Venier a Domenica in, ma Galeazzi è stato cronista fino in fondo, anche quando i malanni lo hanno messo alle corde, costringendolo in studio, dietro un tavolo, dove non è mai stato del tutto a suo agio.

Se oggi nelle dirette dei grandi eventi sportivi c’è sempre un giornalista a bordo campo per raccontare cosa succede in panchina o cosa pensa l’allenatore a fine gara, be’, il migliore, formidabile interprete di questo ruolo è stato lui, gigantesco nella stazza e nella grinta, incontenibile fino alla fine, fuoriclasse nel chiedere la linea, restituendo emozioni e – potevate starne certi – una notizia.

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