L’anca nuova e miracolosa di Andy Murray 

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Miracolo, miracolo, miracolo. Come direbbe il compianto Massimo Troisi. Andy Murray, il quarto dei Fab Four del tennis, che agli Australian Open annunciava piangente il ritiro, torturato dal vecchio problema all’anca, ha salutato domenica, piangente, il successo al torneo di Anversa. Dalle lacrime disperate dell’11 gennaio, da quelle drammatiche e infelici dichiarazioni – “voglio togliermi almeno il dolore, non ce la faccio più, non riesco più nemmeno ad infilarmi i calzini” – a quelle felici del 20 ottobre, il baronetto di Sua Maestà per meriti sportivi, che ha riscritto la storia dopo Fred Perry negli anni ’30 e che ha firmato diversi successi Slam, due ori olimpici, la coppa Davis, arrivando anche al numero 1 del mondo! – è transitato per alcuni stadi durissimi.

Dall’operazione chirurgica del 28 gennaio alla stoica rieducazione, dal ritorno trionfale in doppio del 17 giugno al Queens a quello stentatissimo in singolare di agosto a Cincinnati e Winston Salem (perdendo subito contro Gasquet e Sandgren), quand’era sceso addirittura al numero 839 della classifica. Per poi tuffarsi nei tornei asiatici e quindi risorgere ad Anversa, firmando il suo titolo Atp numero 46, il primo dal 5 marzo 2017 (due anni e otto mesi fa), a Dubai, “dopo quello che ho passato, una delle più importanti di tutta la mia carriera”. Rimpolpando la classifica mondiale dal 243 a 127 del mondo. E ricominciando a sorridere alla vita e allo sport, lui che, da campione, proprio non poteva accettare di essere costretto a chiudere col professionismo non per decisione propria ma per un infortunio.

A gennaio, il 32enne scozzese che temeva di non poter più tornare a camminare, oggi, corre e si braccia come ai tempi belli quand’era numero 1 dei tennisti professionisti e duellava alla pari con Federer, Nadal e Djokovic. Forse questa rimonta sul destino è la sua vittoria più bella, doppia, considerando che ridà speranza a tante persone normali come anche ad atleti menomate da problemi all’anca. La sua, la destra, non è stata ricostruita, né sostituita, né violentata con l’innesto di placche di metallo, è stata rivestita, e quindi rinforzata, per ridurre l’attrito fra femore e bacino in quella rotazione continua che lui e tanti altri colleghi fanno nel caricare il colpo prima dell’impatto con la palla. Merito del professor Derek McMinn che lo ha operato a Londra, promettendogli: “Hai il 90 per cento di probabilità di tornare a giocare a tennis”.

L’artroplastica di rivestimento riguarda anche i grandi anziani, perché è un intervento sempre meno invasivo che consente un recupero totale e rapido della mobilità articolare ed il superamento del dolore. Murray, terrorizzato da una seconda operazione dopo che la prima non aveva resistito nel tempo, ha potuto recuperare così in fretta, addirittura a livello di sport agonistico di primo livello, perché l’intervento non richiede l’asportazione della testa del femore del paziente a differenza di quanto avveniva in precedenza.

E non presenta complicanze, come la lussazione o la differenza di lunghezza delle gambe, che possono verificarsi con l’inserimento delle protesi. Infatti, con l’artroplastica di rivestimento viene sostituita solo la parte realmente malata, cioè la cartilagine, ricoprendo la testa del femore con una cupola di appena due millimetri di spessore di una particolare lega metallica, ricca di carburi, elementi simili alla ceramica che proteggono dall’usura.

La stessa pellicola viene inserita a copertura e difesa del bacino, per sostituire anche la cartilagine pelvica. Così, collo e canale del femore rimangono intatti, e non viene modificato il diametro della testa del femore, garantendo l’ottimale funzione dell’anca ed il rischio di lussazioni. Senza danneggiare i muscoli glutei, fondamentali nella deambulazione. Ecco il miracolo miracolo miracolo di Andy Murray. Che ora è libero di decidere quando e come si ritirerà, comunque in campo, da atleta vero: sarà a Wimbledon 2020?

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