Nove domande e nove risposte sul referendum sull’Atac 

Nove domande e nove risposte sul referendum sull'Atac 

Domenica 11 novembre i cittadini di Roma sono chiamati a votare al referendum su Atac. Sono due i quesiti ai quali i cittadini della Capitale dovranno rispondere. In bilico non c’è solo il destino del trasporto pubblico romano: il voto può essere un bivio per il futuro della politica capitolina e, più in generale, segnare una nuova fase nel modo di gestire i servizi pubblici di una metropoli. Ecco quello bisogna sapere sul referendum.

Che cos’è Atac?

L’Azienda per i Trasporti Autoferrotranviari del Comune (Atac) è la società concessionaria del trasporto pubblico della città metropolitana di Roma. Nata nel 1909 come Azienda Autonoma Tramviaria Municipale (Aatm), nel corso degli anni ha cambiato più volte nome: prima Atm, Atg e Atag per assumere la denominazione attuale nel 1944. L’ultimo step di riassestamento societario risale al 2010 quando si è completata la fusione con Met.Ro S.p.A. e Trambus S.p.A. Oltre ad Atac a Roma opera un’altra società nel trasporto pubblico, la privata Roma Tpl, che ha in gestione circa il 20% del totale del servizio capitolino concentrato nelle periferie.

Flotta e dipendenti

Con oltre 11 mila dipendenti, Atac è oggi il primo gruppo di trasporto pubblico in Italia. Serve un´area di 1285 chilometri quadrati e, ogni giorno, garantisce più di 4 milioni di spostamenti. A Roma Atac gestisce i mezzi di superficie, come autobus e tram lungo 249 percorsi, tre linee della metropolitana (58 chilometri complessivi) e altrettante tratte ferroviarie (Roma-Lido, Roma-Giardinetti e Roma-Viterbo, che però nel 2019 verranno messe a bando).

Secondo quanto riportato sul sito ufficiale (ma altri dati che vedremo più avanti sono meno ottimistici), i mezzi di superficie sono 2.131 che coprono 1.844 km di una rete articolata in 6.446 fermate, mentre i treni della metropolitana sono 96 che fermano in 75 stazioni.

Qual è l’oggetto dei quesiti? Privatizzazione o liberalizzazione

Innanzitutto va chiarito che il referendum è consultivo: significa che i governanti non sono vincolati al parere espresso dai cittadini. L’esito delle urne sarà una sorta di indicazione che la Giunta capitolina potrà valutare e tenere in considerazione per eventuali decisioni future. Ecco le due domande alle quali gli elettori dovranno rispondere.

Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche, anche a una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?“

Proviamo a spiegare: In ballo c’è il futuro di Atac, ma non solo. Il quesito domanda ai cittadini se sono favorevoli che il servizio di trasporto pubblico, oggi appannaggio di Atac, venga in futuro assegnato sulla base di “gare pubbliche”. Bandi, cioè, a cui potranno partecipare diversi soggetti tra i quali verrà scelto il vincitore. Su questo punto nasce l’equivoco sul quale si è incagliato parte del discorso sul referendum: si tratta di privatizzazione? O di liberalizzazione? I due concetti sono diversi. Il testo della domanda va nella seconda direzione, quella della liberalizzazione: significa cioè che il Comune giocherebbe un ruolo di garante e di controllore, assumendosi l’onere di proteggere l’interesse pubblico, mentre la fornitura di servizio sarebbe a carico di una, o più, società vincitrici del bando.

“La vera posta in gioco non è se fare le gare ma come farle”, ha scritto Walter Tocci su Internazionale spiegando le differenze tra privatizzazione e liberalizzazione. Un modello equilibrato, scrive l’ex vicesindaco ai tempi delle giunta Rutelli, prevederebbe due cose: un’agenzia pubblica che agisce “sulla base degli indirizzi del Consiglio comunale organizzando e pianificando il servizio che acquista dai privati la fornitura di trasporto”; e appunto diversi produttori che partecipano al bando. Detto ancora in altri termini: servizio, cioè la pianificazione delle tratte, in mano al pubblico; produzione, ovvero “trazione, manutenzione e logistica”, assegnata ad altri operatori, privati o pubblici che siano.

Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”

Il secondo quesito è diverso: domanda ai cittadini se, indipendentemente dal trasporto pubblico normale, sono favorevoli a progetti di “trasporto collettivi non di linea”. Qualcosa di simile al car sharing, per intenderci. Suona più o meno così: volete che il Comune promuova soluzioni di trasporto modulate sulla domanda degli utenti, in tempo reale?

Dove si vota?

Le urne saranno aperte soltanto nella giornata di domenica 11 novembre, dalle 8 alle 20. La data è stata scelta con delibera del 1 giugno 2018. Questa la mappa dei seggi dove i cittadini potranno votare.

Chi può votare?

Potranno votare tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali di Roma Capitale e i cittadini residenti all’estero che votano a Roma. Oltre a loro potranno recarsi alle urne i cittadini non residenti a Roma che nella Capitale esercitano la propria attività prevalente di lavoro, gli studenti fuori sede e gli stranieri legittimamente presenti nel territorio nazionale che in città hanno residenza o domicilio per ragioni di studio o lavoro.

La questione quorum

Affinché il referendum consultivo sia valido è previsto un quorum di almeno un terzo degli aventi diritto. Si tratta di una norma non più in vigore da alcuni mesi ma, poiché il referendum è stato indetto prima dell’approvazione del nuovo statuto di Roma Capitale, al voto di domenica si applica la normativa precedente. Gli aventi diritto a Roma sono poco meno di 2 milioni e 400 mila: per rendere valido l’esito del voto dovranno recarsi alle urne almeno 800 mila persone.

Che cosa prevede il contratto tra Roma Capitale e Atac?

Il dibattito principale riguarda quanto previsto dal contratto stipulato tra Roma Capitale e Atac: quello in vigore è stato sottoscritto il 10 settembre del 2015 con validità fino al 3 dicembre 2019. A inizio 2017, tuttavia, il Comune ha deciso di prorogarlo di due anni, portando la scadenza al 3 dicembre 2021. L’articolo 6 del contratto fornisce la stima ritenuta “adeguata” i termini chilometrici: 8.889.000 km annui di corse di metropolitana e 101.000.000 km in superficie (autobus, tram e filovie). Una soglia, quest’ultima, mai raggiunta dopo il 2012, anno in cui in superficie si registrarono 106.177.000 km. Da allora un crollo verticale fino ai 84.072.000 del 2017, il 16% in meno rispetto al contratto.

Drammatici anche i numeri relativi al parco mezzi a disposizione di Atac: come detto in precedenza il sito ufficiale riferisce di una flotta di 2.131 mezzi. Secondo il focus dell’Agenzia Roma Capitale aggiornato a giugno 2018, nel 2016 il numero era già sceso a 1.958. Di questi ne circola mediamente appena il 63% (1.230). Nel 2010, in strada ogni giorno ce n’erano quasi 600 in più. La flotta sta anche invecchiando: a tal proposito deve far riflettere il dato secondo cui il 45% delle corse perse nel 2017 è dovuto a guasti occorsi alle vetture.

Chi ha promosso il referendum?

Il referendum è stato promosso dal Comitato Mobilitiamo Roma a cui aderiscono i partiti politici di sinistra Radicali Italiani e la sua sezione romana, +Europa, Movimenta e Alleanza Liberaldemocratica per l’Italia (Ali), oltre all’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (Aduc). Il Comitato ha raccolto 33 mila firme tra la primavera e agosto del 2017.

Nei giorni scorsi l’ex segretario del Partito Democratico Matteo Renzi si è schierato a favore del Sì con un video su Facebook nel quale ha definito ”scriteriata e insufficiente” la gestione del servizio pubblico da parte di Atac. Non c’è però solo il Pd ad appoggiare la mozione dei Radicali: anche Forza Italia ha optato per il Sì.

Chi è contrario?

A sinistra non sono però tutti d’accordo: alcuni esponenti di Liberi e Uguali, come il deputato Stefano Fassina, si sono mossi per il No. Contrarietà, anche se la sindaca Virginia Raggi non si è espressa in maniera ufficiale, anche dal Movimento 5 Stelle peraltro criticato per il silenzio sul referendum. Proprio per questo motivo, se dalle urne dovesse emergere un plebiscito a favore del Sì difficilmente il Campidoglio pentastellato potrebbe far finta di nulla. Niet anche dal partner di governo a Palazzo Chigi, la Lega, e da Fratelli d’Italia. Schierati contro anche i sindacati. Per sostenere le ragioni di chi si oppone sono nati alcuni comitati, come Mejo de No e Atac Bene Comune.

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