Serve un software dell’Fbi per venire a capo della montagna di dati sul Ponte Morandi

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Jaap Arriens / NurPhoto
 

 Il logo dell’Fbi su un tablet

L’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi si profila lunga e complessa, soprattutto per la mole di dati raccolti dalla procura di Genova e che ora bisogna mettere in correlazione tra loro. Mail, chat, documenti di ogni sorta: tutto raccolto in 60 terabyte di materiali scansionati e quelli già in formato digitale. Per dare un’idea, basti pensare che si tratta di 60 volte lo spazio che è in grado di immagazzinare un buon pc domestico, pari più o meno a 400 milioni di foto, più di quante riuscirebbe a scattarne un influencer incallito nell’arco della propria esistenza. 

Il problema, però, non è lo ‘storage’, ossia la custodia di questo materiale. Immaginate di dover scartabellare tra milioni di documenti in cerca di quella chiave che li metta in correlazione tra di loro: il proverbiale ago nel pagliaio in confronto è un gioco da ragazzi.

Per questo, come ha raccontato il procuratore di Genova, Francesco Cozzi, all’edizione cartacea di Repubblica, gli inquirenti hanno deciso di chiedere aiuto a chi è abituato da anni a cercare correlazioni tra milioni di file e per questo stanno trattando l’acquisto di un software dell’Fbi. “Dal primo giorno di inchiesta avevo detto che non avremmo lesinato sulle risorse. Lo dobbiamo alle 43 vittime della tragedia. Ci serve un programma che sappia mettere in relazione questa mole immensa di materiale” ha detto Cozzi al quotidiano.

Come funziona il software dell’Fbi

Si tratta di un software che utilizza un algoritmo molto complesso e di un hardware “che occupa lo spazio di due armadi a doppia anta”, scrive Ilaria Puglia e sarà acquistato con i fondi del tribunale di Genova che è pronto a stanziare mezzo milione di euro entro Natale.

L’obiettivo è di incrociare tutti i dati raccolti finora dai server di Autostrade, dai computer e dagli smartphone sequestrati e incrociarli con gli atti interni, la documentazione tecnica e tutto il materiale acquisito al Mit e al Provveditorato alle opere pubbliche di Piemonte, Liguria e Val D’Aosta, alla Spea Engineering, e dai consulenti che hanno fornito pareri sullo stato di salute del viadotto.

Collegare, classificare e indicizzare questa mole di dati è l’obiettivo primario in questa fase del’inchiesta e, scrive ancora il Napolista, sono due le aziende specializzate in software che forniscono macchinari del genere: una in Canada e una in Australia e Cozzi, insieme con i tecnici informatici a disposizione della polizia giudiziaria ha valutato di acquistare software e hardware piuttosto che affidare una consulenza che sarebbe costata centinaia di migliaia di euro. L’investimento sarà inizialmente più oneroso, ma il computer resterà di proprietà della Procura e potrà essere utilizzato per altre inchieste in futuro.

“Ricostruire l’esatta dinamica del crollo di Ponte Morandi, cosa comunque importantissima, non è nemmeno la priorità” dice Cozzi a Repubblica, “Fondamentale, invece, è approfondire lo stato di salute del viadotto negli anni, quel che è stato fatto e quel che non è stato fatto. E allo stesso tempo allargare il campo, perché indagare su un’opera così importante significa fare luce sul rapporto tra pubblico e privato, sulle zone d’ombra tra Stato e concessionari. È un quadro imponente”

Due reperti considerati rivelatori della rottura degli stralli, i tiranti del viadotto sono stati mandati in un laboratorio in Svizzera. “Il gip crede sia una soluzione in grado di offrire maggiori garanzie rispetto all’Italia. Ma non è mica una spedizione su Marte, è un laboratorio attivo da tempo e uno dei periti nominati dal giudice insegna a Zurigo” spiega il procuratore.

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