Vetrina o gogna? L’Iran ai mondiali in Qatar tra tifo e rivolta 

AGI – Una vetrina per il riscatto contro il Grande Satana e il suo più stretto alleato o una gogna globale per la repressione della rivolta popolare che dal 16 settembre sta sconvolgendo la Repubblica islamica? La partecipazione dell’Iran ai mondiali in Qatar, dove la sorte l’ha inserito nel girone con Stati Uniti, Inghilterra e Galles, potrebbe trasformarsi in un assist ma anche in un autogol per il regime degli Ayatollah, stretto partner dell’emirato del Golfo Persico con cui condivide il più grande giacimento di gas al mondo, il North Dome/South Pars.

Le minacce del regime

La Commissione Cultura del Parlamento iraniano ha minacciato di escludere dalla nazionale i calciatori che dovessero manifestare sostegno alla protesta come già avvenuto per le nazionali che non hanno cantato l’inno (beach soccer e pallanuoto) o per il calciatore (Said Piramoun) che nel beach soccer ha esultato mimando il taglio di una ciocca di capelli, chiaro riferimento alla 22enne curda Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché il velo non le copriva completamente i capelli.

I calciatori dissidenti

Nella lista dei convocati del ct portoghese, Carlos Queiroz, però, figurano anche gli attaccanti Sardar Azmoun e Mehdi Taremi che si sono schierati con la rivolta in cui ci sono già stati oltre 140 morti e 12mila arresti. Il primo, bomber del Bayer Leverkusen, in un post su Instagram si era spinto fino ad affermare che essere cacciato dalla nazionale “sarebbe un piccolo prezzo da pagare rispetto anche a un solo capello delle donne iraniane”. In seguito ha rimosso il post e si è scusato con i compagni, bersagliati di insulti sui social dagli ultraconservatori.

Calcio in rivolta

Il mondo del calcio iraniano è in fermento: una leggenda come l’ex attaccante Ali Daei, miglior marcatore di tutti i tempi con una nazionale dopo CR7, è stato arrestato mentre partecipava a un corteo di protesta e altri ex campioni come il 69enne Mahmood Ebrahimzadeh, in esilio negli Usa, hanno lanciato appelli alla comunità internazionale perché sostenga la rivolta. Pochi giorni fa i calciatori del club iraniano dell’Esteghlal si sono rifiutati di festeggiare alla consegna della Super Coppa appena vinta e a inizio ottobre la squadra di Teheran del Persepolis aveva indossato braccialetti neri in segno di lutto per le vittime della repressione.

I segnali del Team Melli

La partecipazione dell’Iran al mondiale non è mai stata messa seriamente in discussione, nonostante un appello dell’Ucraina che ne aveva chiesto l’esclusione perché Teheran ha fornito alla Russia i droni con cui viene bombardata la sua popolazione civile. Ma gli stesso giocatori del Team Melli, il nome con cui è conosciuta la nazionale, hanno lanciato i loro messaggi: a fine settembre sono scesi in campo con un giaccone nero per un’amichevole contro il Senegal, una scelta interpretata dagli osservatori come una forma di contestazione. L’unico giocatore apertamente pro-regime è il centrocampista Mehdi Torabi mentre il nuovo ct Queiroz è considerato più pragmatico e malleabile rispetto al croato Dragan Skocic, esonerato in estate a pochi mesi dal mondiale dopo che aveva detto che non era interessato alle implicazioni politiche della sfida contro gli Usa. 

La sfida clou

L’esordio dei ‘bianchi’, numero 20 del ranking Fifa, sarà il 21 novembre contro l’Inghilterra ma la partita clou sarà proprio quella contro gli Stati Uniti del 29 novembre, una gara carica di significato per il regime e che potrebbe essere decisiva per la qualificazione agli ottavi.

Nessuno può prevedere se ci saranno gesti politici in campo come avvenne con i braccialetti verdi indossati dai calciatori in una partita di qualificazioni ai mondiali a Seul, durante le proteste del 2009, ma di certo a questi mondiali l’Iran non farà parlare solo per i suoi risultati in campo. Resta anche da vedere se la tv di Stato iraniana arriverà a interrompere la diretta qualora i calciatori compiano gesti politici, anche a costo di far infuriare milioni di tifosi e di gettare altra benzina sul fuoco della protesta.

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