Cosa dice Paolo Borsellino nell’audio desecretato dalla commissione Antimafia

Mafia audio Borsellino

(AGF)

 Paolo Borsellino (AGF)

C’è anche un audio di Paolo Borsellino tra i documenti desecretati dalla commissione Antimafia alla vigilia del 27esimo anniversario della strage di Via D’Amelio. Si tratta di una testimonianza importante perché evidenzia come nel 1984 quello delle scorta al magistrati fosse percepito più come un problema sociale che come un’emergenza nazionale e di quanto vaste fosseri le lacvune nel presidio del territorio. 

“Buona parte di noi non può essere accompagnato in ufficio di pomeriggio da macchine blindate – come avviene la mattina – perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere 4 colleghi”. dice Borsellino durante una deposizione alla Commissione antimafia a Palermo nel maggio del 1984. “Io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e torno a casa per le 21 o le 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per poi essere libero di essere ucciso la sera”.

La desecretazione è avvenuta nell’ambito di un programma più ampio, votato all’unanimità dalla Commissione, e che copre gli atti dei lavori dal 1963 fino al 2001. Un archivio che è stato digitalizzato ed è confluito su un unico sito web all’interno del portale del Parlamento.

Tra i primi atti in evidenza cu sono proprio gli audio di Borsellino. “Tutto quello che avviamo oggi è un ulteriore segnale di democratizzazione del Paese”, ha spiegato il presidente della Commissione, il Cinque Stelle Nicola Morra, presentando l’iniziativa in Senato. “Abbiamo ascoltato gli audio del 1984, registrati a Palermo, Borsellino già ragionava – ha aggiunto – sulle difficoltà di portare avanti un processo con numeri enormi. Non sempre le sue richieste vennero pienamente soddisfatte”.

In passaggio di una deposizione del 1988, Borsellino parla di quando era procuratore a Marsala. “Non si riusciva a capire come si dovesse istituire una volante che circolasse di notte a Marsala” dice “Non era possibile, non c’erano gli uomini ed io ero stanco, ad un certo punto mi venne in testa (per stanchezza, perché me ne volevo andare) di fare la proposta di dimezzarmi la scorta per fare la volante. In questo modo si è fatta. A Marsala, la quinta città della Sicilia, con 100 mila abitanti circa, non c’era una volante né della Polizia, né dei Carabinieri, che potesse assicurare l’intero arco delle 24 ore”.

“E’ una mia convinzione, basata su dati di fatto, che la zona di Marsala sia diventata una specie di ‘santuario‘ delle cosche mafiose. Mi sono chiesto come mai Bernardo Provenzano e Salvatore Riina, capi riconosciuti di Cosa Nostra, hanno l’uno parenti e l’altro grandi proprietà terriere a Castelvetrano. Perché il fratello di Riina abita a Mazara del Vallo da circa 20 anni e per una certa situazione riguardante le forze di Polizia, pur sapendo che si recava ogni settimana a Corleone non era mai stato fatto un pedinamento. E’ chiaro che Riina, che ha dei figli che non si sa dove siano, un contatto con il mondo esterno, con la vita civile deve pure tenerlo. Niente di strano che lo tenga attraverso il fratello, sul quale non si era fatto alcun accertamento. Io ho rilevato l’esigenza di farlo”.

Riguardo le connessioni tra mafia e politica, “vi è un problema di ordine generale” diceva il magistrato “Mi sono formato la convinzione, tra l’altro condivisa dal collega Falcone dopo 8 anni di indagini sulla criminalità mafiosa, che il famoso terzo livello di cui tanto si parla – cioe’ questa specie di centrale di natura politica o affaristica che sarebbe al di sopra dell’organizzazione militare della mafia – sostanzialmente non esiste. Dovunque abbiamo indagato, al di sopra della cupola mafiosa, non abbiamo mai trovato niente. Da tante indagini viene fuori invece – prosegue il magistrato nella sua deposizione – contiguità e i reciproci favori in riferimento alle attività delle organizzazioni mafiose a livello elettorale, che permetteva quantomeno di rendere favori elettorali, probabilmente con la speranza di averli resi in altro modo”.

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