Le relazioni pericolose tra calcio e criminalità

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Daniel Bockwoldt / DPA / dpa Picture-Alliance

Ultras

Ad agosto l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, detto ‘Diabolik‘, storico capo degli Irriducibili della Lazio, ucciso con un colpo di pistola in un parco romano; a settembre l’arresto di 12 capi ultrà della Juve accusati di ricattare la società bianconera per continuare ad avere biglietti agevolati e gestire il bagarinaggio; all’alba del 18 ottobre le manette ai polsi dell’ultrà napoletano alla guida del Suv che la sera di Santo Stefano dell’anno scorso, prima di Inter-Napoli, travolse e uccise Daniele Belardinelli.

Nel giro di pochi mesi, calcio e criminalità sono apparsi insieme sempre più spesso nelle notizie di cronaca nera, a conferma dell’esistenza di relazioni pericolose tra due mondi che, in teoria, dovrebbero essere lontanissimi. Legami con i clan, traffico di droga, alleanze trasversali: il quadro più fosco della dimensione sommersa (ma non troppo) del pallone lo dà la relazione approvata nel dicembre 2017 dalla Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi.

Il primo documento ufficiale che mette nero su bianco l’esistenza di “varie forme, sempre più profonde, di osmosi tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato, nelle quali si annida anche il germe dell’estremismo politico”.

IL TERRITORIO-STADIO – La forza di intimidazione delle tifoserie ultrà all’interno del “territorio-stadio”, spiega l’Antimafia, “è spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso”: in un passato anche recente, la condizione di apparente extra-territorialità delle curve ha consentito ai gruppi di “acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive e dei loro dipendenti o tesserati”. Situazione ulteriormente aggravata, dal punto di vista dei club, “dalla base sociale delle stesse tifoserie, formate da significativi contingenti di persone pregiudicate, in alcuni casi vicini al 30% del totale, secondo le stime delle forze di polizia”.

I comportamenti violenti e antisportivi vengono utilizzati come armi di pressione e di ricatto al fine di barattare il regolare svolgimento delle partite con vantaggi economici quali, appunto, biglietti omaggio, merchandising e contributi per le trasferte. La procura di Torino con l’operazione “Last Banner” ha fatto emergere come il club di Andrea Agnelli fosse sotto il ricatto di alcuni esponenti dei Drughi, dei Tradizione, dei Viking e del Nucleo 1985. L’ultimo caso di questo tipo, ma solo in ordine di tempo.

LE INFILTRAZIONI DEI CLAN – Di mafie e football si è parlato soprattutto dopo l’inchiesta “Alto Piemonte” – dalla quale è emerso come Rocco Domminello, esponente della ‘ndrangheta, fosse riuscito a inserirsi nel giro del bagarinaggio dei biglietti della Juve – ma degli interessi dei clan per il settore si sa da molto più tempo. A metà degli anni 2000, un gruppo delinquenziale riconducibile alla camorra dei Casalesi tentò di acquistare un pacchetto significativo di azioni della Lazio.

Nel 2007, dopo la morte dell’ispettore Raciti, ucciso da alcuni ultrà di casa nei disordini seguiti a Catania-Palermo, emersero i legami sospetti coltivati da alcuni gruppi di tifosi organizzati mentre qualche anno dopo avrebbero fatto scalpore le foto di Antonio Lo Russo, ex boss del clan dei Capitoni di Secondigliano diventato collaboratore di giustizia, immortalato a bordo campo durante un Napoli-Parma: aveva un pass da giardiniere.

Secondo alcuni inquirenti, la stessa rigida suddivisione vigente al San Paolo tra curva A e curva B rispecchiava “non solo ma anche, purtroppo, i gruppi camorristici” di provenienza: dalla curva A veniva, tra gli altri, “Genny ‘a carogna“, il capo ultrà che ‘trattava’ all’Olimpico con Hamsik sotto gli occhi delle telecamere la sera della finale di Coppa Italia e dell’agguato a Ciro Esposito.

Anche la criminalità organizzata lombarda punta sempre di più verso gli spalti, vera e propria “porta d’ingresso” per avvicinarsi alle società: secondo il Gafi, il Gruppo di azione finanziaria internazionale, il mondo del calcio da un lato “offre opportunità di ripulire denaro sporco”, facendo leva sui suoi bisogni di natura finanziaria, dall’altro consente di “conseguire consenso sociale all’interno delle tifoserie”. Uno degli schemi di riciclaggio più ricorrenti in questo settore è l’acquisto di club in difficoltà economiche: i più a rischio, per via dei minori controlli, sono quelli delle serie minori.

IL CALCIOSCOMMESSE – Negli ultimi anni il fenomeno del match fixing, ovvero delle partite manipolate, ha raggiunto preoccupanti livelli di espansione nel mondo grazie soprattutto alla possibilità di scommettere online. Secondo alcune stime, l’entità delle scommesse raccolte è pari a 3 miliardi di euro l’anno, cui vanno aggiunte le puntate raccolte dai bookmaker degli altri Paesi, calcolate in circa 53 milioni di euro a partita: una torta troppo grande e troppo golosa per non incontrare i gusti di un ‘cartello’ criminale transnazionale che, sempre secondo l’Antimafia, comprenderebbe “giocatori in attività o meno, dirigenti delle squadre, bookmaker italiani e stranieri, liberi professionisti, pregiudicati”, con centri all’estero e ramificazioni in tutto il mondo.

Al Viminale è stata da tempo istituita l’Unità interforze scommesse sportive, cui partecipano le forze di polizia, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e le istituzioni sportive: il monitoraggio continuo delle puntate sfocia in un discreto numero di segnalazioni di movimenti ‘anomali’ ma gli stessi investigatori sono propensi a credere che si tratti solo della punta di un iceberg di dimensioni ben più consistenti: la famosa inchiesta di Cremona, ad esempio, portò alla luce “una fitta rete di operazioni corruttive di calciatori finalizzate all’alterazione dei risultati sportivi, ma le attività di scommessa – non solo per le partite in Italia, ma anche negli altri Paesi europei – avvenivano su siti asiatici”. 

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