“Non vogliamo soldi, ma giustizia. Solidarietà? Neanche sul lavoro”

bambini uccisi suv vittoria

Agi

Vittoria, il funerale di Simone D’Alessandro

“Nelle nostre case sono venute decine di avvocati promettendo risarcimenti che nemmeno si possono pronunciare. Li abbiamo cacciati tutti. Non possiamo riavere i nostri figli, ma pretendiamo giustizia. Nessuno di noi ha mai pensato di speculare sui nostri bambini”. Parla con l’AGI Alessandro D’Antonio, il padre di Alessio, il bambino di 11 anni travolto e ucciso da un Suv insieme al cuginetto di 12 anni Simone D’Antonio l’11 luglio scorso mentre stavano sull’uscio di casa a Vittoria (Ragusa).

Concetti che D’Antonio riprende e spiega raccontando della tragedia, di quella notte, di quanto è accaduto dopo. Cosa avvenne tre mesi fa? Era l’11 luglio. Intorno alle 20,50 viene segnalato un terribile incidente in via IV Aprile a Vittoria, nel tratto tra via Gaeta e via Ancona. A terra due bambini, i corpi orrendamente mutilati da un suv che giunto ad una velocità folle (velocità che è stata oggetto di una perizia i cui esiti non sono ancora noti) ha travolto Alessio e Simone uccidendo sul colpo il primo e lasciando agonizzante il secondo che morirà dopo qualche giorno di agonia.

Alla guida del suv Rosario Greco. In macchina con lui Angelo Ventura, Rosario Fiore e Alfredo Sortino che si danno alla fuga per poi presentarsi alle autorità. Rosario Greco – secondo quanto reso pubblico dalla polizia di Ragusa che ha svolto le indagini – guidava in stato di ebrezza e sotto effetto di droghe. Prima di imboccare la strettoia di via IV Aprile, una strada che si presenta strettissima dopo un lungo rettilineo in discesa – Rosario Greco effettua un sorpasso, perde il controllo del suv e falcia i bambini. Dovrà rispondere di omicidio stradale aggravato plurimo in relazione al quale è stata richiesta e ottenuta dal gip la misura cautelare in carcere ed è indagato anche per il reato contravvenzionale di porto ingiustificato di oggetti atti a offendere rinvenuti nella sua autovettura. I tre che erano in macchina con lui sono stati denunciati a piede libero per omissione di soccorso.

“Oggi ci sentiamo un po’ abbandonati”, dice Alessandro D’Antonio, che parla a nome di tutta la famiglia. Ha perso 40 chili da quel giorno, e il suo pensiero fisso è che chi ha sbagliato paghi con una pena severa, esemplare. “Non voglio essere frainteso. Un incidente può capitare, ma questo non è stato un incidente stradale ma una strage. E bisogna cambiare la legge perché non capiti più. Puoi avere un incidente, ti metti in macchina ma lo fai nelle giuste condizioni, rispettando la legge, la velocità. Ma qui non si tratta di questo. Chi guidava era ubriaco, drogato, e correva come un pazzo. Rosario Greco è in carcere a Ragusa ma non è giusto nemmeno questo. I suoi parenti lo vanno a trovare due volte la settimana, sta in carcere con suo padre e noi i nostri figli non potremo rivederli più. Lo portino in Sardegna, a fare carcere duro. Nessuna pietà”.

“Dalla strage che ha ucciso i nostri figli non è venuto più nessuno” nella nostra attività commerciale, “non abbiamo avuto commesse di lavoro in più e che sia chiaro: non c’e’ nessuno di noi che abbia nemmeno per un minuto pensato di speculare sui nostri bambini. Se ci aspettavamo aiuto o solidarietà? Non è facile tornare al lavoro, ma andiamo avanti…certo è che non è venuto piu’ nessuno”. Ancora:  “Le aziende del padre di quell’animale che ha ammazzato i nostri figli sono state sequestrate per cose di mafia e sono commissariate – spiega D’Antonio – hanno degli amministratori che le fanno andare avanti e che ci tolgono lavoro”. 

L’azienda dei fratelli D’Antonio produce imballaggi per l’agricoltura, come quelle di Elio Greco (padre di Rosario Greco) coinvolto in un processo per associazione mafiosa, con l’accusa di avere creato un cartello per imporre i suoi imballaggi con metodo mafioso. “Sì, ci tolgono il lavoro perché per mantenere in vita quelle aziende propongono prezzi piu’ bassi dei nostri e mi è capitato di sentirlo proprio io mentre andavo in un’azienda per offrire i miei prodotti. Ma se lei propone a un cliente la cassette a 60 centesimi l’una e loro le propongono a 55 centesimi, secondo lei il cliente che comunque deve curare i suoi affari, da chi le compra? E secondo lei è giusto che queste aziende ancora lavorino? E noi che abbiamo mutui da pagare, oltre a quelli dell’azienda per i macchinari che abbiamo, anche delle case che abbiamo costruito nel 2011, non riusciamo a venirne fuori. E la nostra è un’azienda sana”.

È un fiume in piena Alessandro D’Antonio. “Siamo una famiglia di gente che lavora. Noi siamo sei fratelli e papà faceva il panettiere di notte e quando rientrava andava a fare l’elettricista per mantenerci. Io ho iniziato a lavorare a 11 anni e mi ricordo ancora gli schiaffi di papa’ che voleva che io studiassi, mi trascinava a scuola…aveva ragione, e oggi lo capisco ma io volevo lavorare”.

Una famiglia sana, ‘che non ha mai avuto regali da nessuno’, dice Alessandro. “Lavoro e sacrifici ma a testa alta e onestamente – racconta ancora Alessandro D’Antonio, papa’ di Alessio, zio di Simone – trent’anni di lavoro ed ora sono, anzi siamo arrabbiati e delusi”.

I D’Antonio chiedono giustizia. “Ci dicono che tra cinque, sei anni potrebbe anche uscire dal carcere, ma vi rendete conto? Perché la legge prevede questo ed è la legge che deve essere cambiata”. Le promesse fatte dai ministri che sono venuti a trovarvi? “Devo essere sincero, il ministro Bonafede ci ha fatti chiamare dalla sua segreteria per dirci che stanno lavorando, che non si sono dimenticati di noi. I politici? sono anche loro genitori no? La legge deve cambiare per tutti, perché una tragedia del genere non succeda più. Quelli era da un pomeriggio che facevano gli sbruffoni in giro per Vittoria e io non ho più nulla. Con Alessio e Simone abbiamo perso tutto”.

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Vittoria, il funerale di Simone D’Alessandro

Arrabbiato, amareggiato, un padre che ogni giorno ha davanti agli occhi l’immagine di suo figlio, di suo nipote. “Non c’è una chiamata, con la voce di Rosario Greco che chiede aiuto, è stata mia moglie che gli ha strappato il telefono dalle mani per chiamare i soccorsi. Diciamolo. E quei tre che sono scappati? Liberi e tranquilli! Li incontro, li vedo, uno di questi continua a sfrecciare con la macchina come se nulla fosse accaduto, ecco, anche questo non è giusto. Loro sono scappati, potevano fermarla quella macchina! Che i politici non si dimentichino di noi; la nostra battaglia è per tutti”.

Una fila di società e di avvocati a proporvi servizi per ottenere risarcimenti milionari. “Altro che risarcimento! A noi non manca nulla di economico, i figli non ce li restituiranno. Quando qualcuno verrà da noi e ci dirà che butteranno via la chiave della cella di quel mostro, allora firmeremo qualunque carta”. Alessandro D’Antonio ricorda anche tutte le persone che sono state loro vicine. “Paolo Borrometi, sempre presente con noi, e poi il ministro Di Maio, Salvini che ha continuato a sentirci mandando messaggi e che ha detto che ci verrà presto a trovare. Il ministro Bonafede, devo credere che stia lavorando veramente, che non si è dimenticato di noi e poi la scuola, e i commissari che amministrano Vittoria, Filippo Dispenza, Giovanna Termini e Gaetano D’Erba. Ci sentiamo sempre, ai nostri bambini hanno deciso di dedicare un giardino che verrà utilizzato dalla scuola che frequentavano Alessio e Simone. La Prefettura, le forze dell’Ordine. Grazie anche a chi ho dimenticato perché oggi è una giornata più difficile delle altre, come ogni giorno dall’11 luglio”.

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