A Milano c’è un spazio di design per i senza dimora grazie alle donazioni delle aziende 

AGI – Milano ha uno centro di accoglienza per i ‘senza dimora’ di design. I creativi del settore hanno raccolto l’invito del Politecnico di Milano e della cooperativa sociale ‘Spazio Aperto Servizi’ a donare arredi  per trasformare l’area dello scalo di Porta Romana allestita a marzo, quando era già chiaro che la pandemia avrebbe determinato nuove fragilità e accentuato quelle vecchie.

Chi ci vive

Nell’area di 20mila metri quadrati, che si chiama Social Music City, sono ospiti oltre un centinaio di persone trasferite dalla Casa dell’accoglienza Enzo Jannacci che, grazie alla generosità di tante aziende, potranno trascorrere un’estate meno dura.  “Abbiamo deciso di supportare il progetto ‘Ariaperta’ poiché Milano è una città molto vicina alla nostra storia e al nostro presente. In questa città è stato aperto uno dei primi showroom di design del marchio – fa sapere UnoPiù, tra le più importanti realtà di arredamento per esterni in Italia e Europa – Abbiamo molti clienti affezionati, ma soprattutto da Milano abbiamo avuto tante ispirazioni e influenze internazionali che hanno contaminato il lavoro dell’azienda negli ultimi anni. In un periodo difficile come questo ci è sembrato doveroso cercare di aiutare con quello che sappiamo fare meglio da più di 40 anni: arredi da esterno che quest’anno renderanno più piacevole l’estate milanese anche per molte persone in difficoltà”.

Come nasce l’idea

“Il progetto è il segno di come il bello e ben fatto abbia una natura intrinsecamente etica, che nasce nell’artigianato che diventa industria, conservando i legami con le comunità locali e un senso di profonda responsabilità sociale”, dice il professor Alessandro Deserti. Assieme a lui, a curare l’iniziativa c’è la collega Anna Barbara secondo la quale “il design è in grado di ascoltare fragilità e necessità delle comunità e attivarsi nella progettazione delle risposte. Il Dipartimento di Design lavora quotidianamente a favorire l’incontro tra territori e produzioni, a costruire dialoghi tra aziende e terzo settore”. In questo progetto, vede la possibilità che “la bellezza sia in grado di avviare un processo di riscatto umano e sociale, sempre”. 

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