Ergastolo a Gilberto Cavallini per la strage di Bologna

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“Sono pentito di quello che ho fatto” ma “di quello che non ho fatto non mi posso pentire. Non siamo noi che dobbiamo abbassare gli occhi a Bologna”. Sono le parole dell’ex Nar, Gilberto Cavallini, pronunciate questa mattina davanti ai giudici della Corte di Assise di Bologna prima di essere condannato all’ergastolo nel processo che lo ha visto imputato per concorso nella strage del 2 agosto 1980.

La sentenza di primo grado è arrivata a quasi 40 anni dallo scoppio della bomba alla stazione di Bologna: fu il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo Dopoguerra, che fece 85 morti e 200 feriti. 

Gilberto Cavallini detto il ‘Negro’, 66 anni, detenuto dal 1983 è attualmente in semilibertà nel carcere di Terni ed è stato condannato all’ergastolo anche per altre vicende. Fu rinviato a giudizio a 37 anni dalla strage: è stato processato per concorso perché, secondo la Procura, fornì appoggio logistico a Mambro, Fioravanti e Ciavardini ospitandoli nell’appartamento che condivideva con l’allora compagna a Villorba di Treviso.

I pm, nelle scorse udienze, avevano chiesto l’ergastolo mentre la difesa l’assoluzione (“non è possibile processare una persona a 40 anni di distanza, è inumano”). Come i suoi ‘compagni’ militanti dei Nuclei armati rivoluzionari, Cavallini si è sempre dichiarato estraneo ai fatti di Bologna. Il verdetto dei giudici bolognesi è arrivato dodici anni dopo l’ultima sentenza definitiva che ha condannato come esecutori materiali della strage gli ex militanti ‘neri’ dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.

Sui mandanti è ancora mistero

Con la sentenza di oggi (non definitiva perché di primo grado) si aggiunge un altro tassello alla vicenda giudiziaria del 2 agosto. Ma se sugli esecutori materiali i giudici si sono espressi, è ancora mistero sui mandanti. Questa la grande zona d’ombra sulla strage alla stazione. Su questo fronte c’è un’inchiesta della Procura generale di Bologna che procede nel massimo riserbo.

 Gli inquirenti hanno sentito alcune persone e inoltrato rogatorie in Svizzera su conti correnti anche riconducibili al venerabile maestro della loggia massonica P2, Licio Gelli, morto nel dicembre 2015 e condannato per il tentativo di depistare le indagini sulla strage.

Intanto i parenti delle vittime chiedono giustizia. Negli occhi dei testimoni sono ancora nitide le immagini dei corpi dilaniati e di una stazione sventrata dall’ordigno che, nascosto in una valigia abbandonata, squarciò l’ala sinistra della stazione di Bologna; il ristorante e gli uffici al primo piano collassarono.

L’ipotesi dello scoppio di una caldaia venne subito accantonata per fare largo all’attentato terroristico su cui, dopo 40 anni, parenti delle vittime, cittadini e istituzioni attendono ancora risposte.

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