Il carcere a Opera è più duro senza la poesia, cancellata dal Covid

AGI – Milano, 4 gen. – Nel carcere di Opera invaso dal Covid, coi detenuti sempre più segregati per proteggerli dal contagio, manca la poesia. Potrebbe sembrare la minore della mancanze ma Silvana Ceruti, responsabile da 26 anni del laboratorio in versi, già insignita dell’Ambrogino d’oro per essere stata la prima a introdurre la lirica in un penitenziario, spiega all’AGI quanto sia invece dolorosa.

 Per i reclusi è la scoperta di avere una bellezza dentro 

“Siamo ‘chiusi’ dalla primavera salvo una breve ripresa tra settembre e ottobre. In questi mesi abbiamo provato a mandare via lettera degli spunti poetici ai 20 partecipanti  del laboratorio, di solito molto ispirati e prolifici, desiderosi di farsi leggere. Non hanno risposto al nostro invito. Senza il contatto umano per loro è tutto molto più difficile. Sono soli coi loro pensieri e la loro paura, difficile scrivere in quel contesto di desolazione, dove le attività sono sospese e anche nello stesso reparto i contatti sono molto limitati”.
Ceruti, che conduce gli incontri assieme a un altro poeta, Alberto Figliolia, ha ben chiara quale sia la potenza della poesia in un cammino di recupero: “Nella mia esperienza, ho visto che scrivere versi consente ai detenuti di scoprire delle parti di loro che non sapevano di avere e, soprattutto, di far rilucere la bellezza che hanno dentro. Il senso della bellezza direi, che poi viene valorizzato a volte anche nei concorsi che vincono o nei complimenti da parte dei familiari a cui spediscono le opere svelando delle parti nascoste. Una persona che ha delle cose ‘brutte’ dentro, può fare delle cose belle”.

Il ‘miracolo’ del calendario uscito nonostante il Covid

 
Nonostante il Covid, “in maniera miracolosa” anche quest’anno il laboratorio di Opera ha prodotto il calendario poetico edito da ‘La vita felice’, a cui è possibile richiederlo. “Le poesie sono state scritte e raccolte poco prima che esplodesse il contagio e la cosa singolare è che avevamo scelto come tema quello della ‘distanza’, che poi è diventata la parola della pandemia. E’ stato tutto molto complicato poi. La nostra fotografa, Margherita Lazzati, si è trasferita in Svizzera a duemila metri per problemi di salute e da lì ha scattato col cellulare delle foto meravigliose. Il calendario è stato inviato a tutti gli autori, averlo tra le mani per loro è molto importante. E’ uscire dal carcere attraverso la loro voce”.
Le poesie, spiega Ceruti, sono “di alto livello”, frutto dello studio durante i laboratori in cui si parte da un testo iniziale e poi, col contributo di tutti, lo si cesella. 

A scorrere le firme degli autori ce ne sono alcuni noti alle cronache  giudiziarie e nere. Non si sa quando riprenderanno gli incontri, che si svolgono ogni sabato dalle 9 alle 12 nella stanza ‘Acquario’ del carcere: un lavoro corale, tutti attorno a un tavolo e spesso con degli ospiti poeti, ma anche altre persone che abbiano un’esperienza artistica da condividere.

“La distanza svanisce il tempo/come il profumo del giorno/prima/e non voglio più camminare/all’infinito, senza poter/apprezzare/la libertà persa dentro a un/labirinto/senza un orizzonte”, i versi profetici di Juan Carlos Saraguro per il mese di marzo, il più crudele della pandemia.      
  

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