La squadra più scarsa di tutti i tempi in Bundesliga

“Qual è la differenza tra una coccinella e il Berlin Tasmania? Semplice, la coccinella ha più punti”. Scorrendo gli almanacchi della Bundesliga, il massimo campionato di calcio tedesco, c’è un nome che colpisce più degli altri. Un nome esotico, che rimanda a terre lontane, e che compare solo in una colonna: quella dei record negativi, tutti conquistati nella stagione 1965-1966, l’unica che il Berlin Tasmania abbia giocato nella “Serie A” tedesca.

L’elenco è straordinario. Minor numero di punti conquistati (appena 8), minor numero di vittorie (appena 2). Unica squadra a non aver mai vinto in trasferta. La più lunga serie di sconfitte consecutive, la peggior differenza reti (-93, frutto di 15 gol segnati e 108, sì, 108, gol subiti). Peggior sconfitta (0-9) e maggior numero di debacle in una sola stagione, ben 28. La prima partita casalinga del Berlin Tasmania, in quello storico campionato, fu seguita da 81.500 persone. Alla fine a comprare il biglietto rimasero in pochi con 827, anche questo un record, come punto più basso mai registrato.

Insomma, questa è la storia della squadra più scarsa che abbia mai giocato nella Bundesliga. Una squadra che, alla fine del campionato, avrebbe avuto meno punti di una qualsiasi coccinella.

Is ist der Unterschied zwischen einen Marienkäfer und Tasmania? Der Marienkäfer hat mehr Punkte​

Il nome e il ripescaggio

Berlino, all’epoca, non è una città facile. Il muro è stato eretto 4 anni prima e la guerra fredda impone i suoi rigidi dettami, dentro e fuori la Germania. All’epoca, oltre alla Bundesliga, si giocavano i cosiddetti distretti regionali e il Berlin Tasmania non è affatto un drappello di brocchi. Non è l’Hertha, la squadra più forte della città lato Ovest, e neanche l’Union o la Dynamo, le compagini più note della parte Est con cui non si avevano contatti e non si disputavano partite.

Il club viene creato il 2 giugno del 1900 ma sul quel nome così poco tedesco aleggia ancora oggi una diffusa incertezza. La versione più accreditata racconta che i soci fondatori erano talmente ammaliati da quella terra piena di diavoli e misteri che sognavano, prima o poi, di chiudere baracca e burattini e andarsene dall’altra parte del mondo. I supporter non ne furono dispiaciuti, anzi. Alla fine apprezzarono così tanto quell’appellativo che non era così inusuale, alle partite, vedere bandiere con canguri intenti a boxare.

Lo scandalo e la promozione

Fu proprio l’Hertha a confezionare il regalo promozione al Tasmania. Nel 1965 la squadra biancoblu venne retrocessa per aver infranto alcune regole salariali imposte dalla federazione. Irregolarità nel pagamento dei giocatori, premi troppo onerosi.

Le altre due candidate alla retrocessione, il Karlsruhe e lo Schalke 04, alzano la voce per chiedere che quel posto lasciato libero andasse a loro. Alla fine si decise di salvarle entrambe e di trasformare il campionato. Non più 16 ma 18 squadre. L’ultima ripescata sarebbe stata una squadra di Berlino che, secondo i criteri del tempo, non poteva essere il Tasmania.

Solo terza nel campionato distrettuale, il club dovette attendere la rinuncia del Tennis Borussia Berlin e dello Spandauer. Non era una decisione facile da prendere, il campionato stava per iniziare, le squadre “piccole” erano composte da giocatori non professionisti che per sbarcare il lunario, facevano altri mestieri. Le casse dei club erano spesso vuote.

Partecipare alla Bundesliga era un affare dispendioso, un rischio che solo il Tasmania decise di correre. Ah, le altre due neopromosse di quell’anno si chiamavano Bayern Monaco e Borussia Mönchengladbach che, a differenza dei diavoli di Berlino, avranno poi un destino migliore. 

I vacanzieri e la stella “italiana”

Tutto viene deciso poche settimane prima del calcio d’inizio della nuova stagione. Ma c’è un altro problema. I calciatori del Tasmania, molti trentenni già padri di famiglia, sono in ferie. Chi in spiaggia in Italia o in Spagna, chi sul Baltico, chi in giro per il Paese. In “The Immortality of Awfulness”, Felix Lill e Javier Sauras raccontano come due radio importanti, Deutschlandfunk e Luxemburg, diffusero i messaggi di richiamata alle armi: “Giocatori del Tasmania, ripeto, giocatori del Tasmania, per favore date subito un segnale”.

Helmut Fiebach, difensore roccioso dai piedi non raffinatissimi, ad esempio, è in Austria. Mentre campeggia allegramente, in mezzo alla natura, viene raggiunto dai poliziotti locali, sguinzagliati all’emergenza. Il capitano, Hans-Gunter Becker, si sta godendo invece i paesaggi incantevoli del Mare del Nord: “Mi raggiunsero sulla costa baltica”, dichiarò in futuro. Quegli uomoni, in fretta e furia, chiusero le valigie, salutarono mogli e figli, e tornarono alla base. Lo fecero, soprattutto, per coronare un sogno: diventare professionisti, anche solo per una stagione, per giocare contro i più forti calciatori della Germania.

Tutti loro erano consapevoli di quello che stava per accadere. Erano convinti che quella parentesi sarebbe durata solo un anno. Becker, impiegato di un’attività pubblica locale, raccontò di essere dal suo datore di lavoro per dirgli: “Ehi capo, da questo momento posso lavorare solo part-time. Ma non preoccuparti, durerà solo otto mesi”. Il suo capo fu comprensivo tanto che un anno dopo elogiò il suo dipendente per quella previsione: “È fantastico riaverti qui Becker. Sapevo di poter contare su di te!”.

A quel punto, per affrontare un campionato così difficile, il Tasmania ha bisogno di almeno un giocatore che sia capace di fare la differenza. Sui taccuini della dirigenza c’è sottolineato un nome: Horst Szymaniak. Detto Schimmi. Trentenne, centrocampista di quantità e qualità che si è distinto nei mondiali del 1958 e del 1962 con la maglia della Germania Ovest. Candidato più volte al pallone d’oro, sverna in Italia, a Varese, dopo aver vinto la Coppa Campioni con l’Inter nel 1964.

Szymaniak era arrivato nel nostro Paese tre anni prima, a Catania. In Sicilia era riuscito a confermare sul campo le qualità di centrocampista tuttofare, bravo nelle coperture e fenomenale nei lanci lunghi, con una visione di gioco che pochi avevano al tempo.

Così, dopo un anno, Helenio Herrera se lo porta con sé a Milano. Allora però gli stranieri che potevano scendere in campo erano solo due. Schimmi è chiuso da due fenomeni come Luisito Suarez e Jair. Gioca poco, è scontento. Herrera però lo apprezza così tanto da offrirgli un rinnovo, prontamente rifiutato. Szymaniak vuole giocare e preferisce il trasferimento in provincia, al Varese, dove gioca con continuità per un anno. Infine cede alla nostalgia di casa e risponde alla chiamata del Tasmania.

In quell’anno disastroso sembrerà un gigante alla corte dei bambini. Predicherà calcio nel deserto, segnerà anche un gol, ma la sua unica preoccupazione sarà quella di arginare la disfatta. Purtroppo senza grandi risultati. Tanto che molti saranno le voci che lo descriveranno presto rassegnato durante gli allenamenti, a volte persino un po’ alticcio. Alla fine dell’anno chiuderà quella famosa baracca e quei famosi burattini e se ne andrà prima in Svizzera e poi negli Stati Uniti.

L’inizio sfolgorante e la caduta devastante

La favola della cenerentola Tasmania inizia a piacere. I giornali ne parlano e molti berlinesi iniziano a seguire con passione la preparazione frettolosa della squadra. Il 14 agosto 1965, giorno della prima partita all’Olympiastadium, casa dell’Hertha Berlino, c’è il pienone. Non potrebbe entrare neanche uno spillo. E la squadra incredibilmente vince.

Gli avversari del Karlsruhe sono travolti da quell’entusiasmo, dentro il campo e sugli spalti. Annichiliti, non riescono a reagire. Wulf-Ingo Usbeck, il goleador del Tasmania, realizza una doppietta. È 2-0 al fischio finale. Primi due punti in saccoccia, gente in festa, titoli e chiacchiere, l’inizio di un sogno che sfumerà presto. Usbeck quella stagione segnerà 4 gol ma rimarrà famoso per i suoi due soprannomi: Ringo, perché portava i capelli come il batterista dei Beatles, e Mastprinzeßchen, perché pare fosse molto fortunato a carte. Il più classico dei vostri numeri 9, insomma.

Le cronache del tempo diranno che la seconda e ultima vittoria avverrà alla penultima giornata contro il Borussia Neunkirchen penultimo in classifica e squadra non irresistibile neanche per i tasmaniani. In mezzo 28 sconfitte, compreso il famoso 9-0 contro il Meidericher, e 4 pareggi. Furono questi numeri, durante la stagione, a diffondere un altro detto: “Quand’è che ha vinto l’ultima volta il Tasmania? Mi sa che devi chiederlo a tuo nonno…”.

Il 30 aprile, Heinz Rolhoff, il portiere del Tasmania detto “Jumbo” per la sua forma non proprio longilinea, non riesce a respingere il rigore calciato dal centrocampista dell’Eintracht di Francoforte Jurgen Grabowski. È il centesimo gol subito dalla squadra in stagione. Un gol che viene raccontato così dal diretto protagonista: “Non ha avuto pietà di me. I nostri tifosi, almeno quelli che erano rimasti (meno di mille, ndr) posarono una corona di fiori, una di quelle usate nelle cerimonie funebri, dietro di me, insieme a un cartello con la scritta 100. E il lunedì mattina, nei giornali, c’era una gigantesca foto che raffigurava me con a destra e a sinistra un centinaio di palloni”. Non c’è da stupirsi, concedere “un secolo di gol” non è una cosa che accade tutti i giorni. Alla fine dell’anno la situazione era così deprimente che Jurghen Wailing, l’altro attaccante della squadra, sperava di non scendere in campo: “Essere uno degli undici titolari si era rapidamente trasformato in una sorta di punizione”. La favola del Tasmania era definitivamente finita. 

Quella stagione costò moltissimo alla società anche dal punto di vista finanziario. Nel 1973 la società dichiarò bancarotta e la squadra fu sciolta. Nel 2000 è nata la “SV Tasmania Berlin” che ne ha raccolto l’eredità. Attualmente il nuovo club gioca nelle serie minori cercando di portare avanti il ricordo di quella cenerentola che, per otto mesi, partecipò a un ballo a cui non era e non sarebbe mai stata più invitata.  

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