“Le minacce fanno male, ma io sono un giornalista e vado avanti”

paolo borrometi minacce

L’ingresso di Tv2000, l’addetto alla portineria che – come ogni mattina – mi ferma: “dottore, la posta”. Tre buste in mano e via nel corridoio che separa l’entrata della Tv in cui lavoro dalla stanza della redazione de “L’Ora solare”.

“Buongiorno Paolo, allora la puntata di martedì prossimo sarà su Alcamo” mi dice Elena, l’autrice che cura lo spazio del programma condotto da Paola Saluzzi e che, ogni settimana, mi vede ospite fisso. Inizio a risponderle, mentre apro le tre buste. All’improvviso un rumore, un tintinnio: è caduto qualcosa. Istintivamente butto all’aria la busta, cosa è caduto? Sono tre chiodi, poi quella scritta, maledettamente uguale a quelle intercettazioni del dieci aprile scorso. “Picca ‘nnai”. Poco ne hai di vivere.

Erano le parole del boss Giuseppe Vizzini, intercettato mentre parlava con i figli e svelava il progetto di attentato con un’autobomba che doveva essere realizzato nei miei confronti ed in quelli della mia scorta.

Da quel giorno gli arresti, la mia vita salvata dalle donne e dagli uomini delle forze dell’Ordine di Siracusa e dai Magistrati della Procura distrettuale di Catania. Ieri ancora una volta, come quel giorno di aprile in Agi, il sangue diventa gelido, la testa pesante, la paura – quella che mi fa compagnia da anni – mi pervade. Solo lo sguardo affettuoso dei colleghi, dei direttori Lucio Brunelli e Vincenzo Morgante, mi consola.

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Sono duri quei momenti, alle minacce purtroppo non ti abitui mai, o almeno per me è così. Sono tante quelle che in questi mesi non ho mai reso pubbliche. Poi le telefonate, gli inquirenti, i magistrati, i miei compagni di vita. 

E a quel punto la classica domanda: adesso che si fa? 

La risposta è sempre la stessa: si va avanti. Un giornalista non fa nulla di particolare o di particolarmente eroico: scrive, racconta, cerca la verità. Quell’articolo 21 della Costituzione non è solo il diritto del giornalista di informare, ma soprattutto il diritto del cittadino ad essere informato. Così via dai Carabinieri per denunciare. E subito dopo si ricomincia, perché diversamente avrebbero vinto loro. E invece loro non vinceranno mai, perché chi fa semplicemente il proprio dovere non può temere nulla, molto oltre le minacce, le aggressioni o gli attentati scoperti. 

Quel “picca ‘nnai” mi ha segnato, ancora una volta, inutile nasconderlo. Ma sono certo che, mai come oggi, il sogno che mi accompagna da quando ero piccolo, quello di raccontare, quello di essere uomo libero in una Terra complessa come la Sicilia, trionferà. Ecco perché non arretro, ecco perché continuerò a fare quei nomi, quei cognomi, non solo di chi spara, ma di chi corrompe, dei politici che svendono il consenso o tentano di acquistarlo, degli imprenditori che – in buona o mala fede – si consegnano ai boss.

Si continua, sì. Perché solo con la conoscenza e con l’informazione chi vuole mettere il bavaglio ai giornalisti sarà sconfitto. Non so se vedrò mai quella “sconfitta” finale, so per certo che ci provo ancora una volta, gettando il cuore – e la penna – oltre l’ostacolo. O meglio, ben oltre la paura che ancora una volta mi pervade. 

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