Roma è il crocevia di tutte le mafie

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L’area della capitale, “sede di importanti infrastrutture, di istituzioni politiche ed amministrative e di numerosissime attività commerciali, costituisce un polo di attrazione per la criminalità organizzata”. Anche per “la disponibilità di imprenditori e pubblici funzionari compiacenti ad aderire a richieste e comportamenti di natura corruttiva”. È un quadro inquietante quello disegnato dal focus dedicato a Roma e al suo hinterland dall’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia.

“Dall’esame delle manifestazioni criminali – scrivono gli analisti della Dia – emerge l’esistenza di una struttura di natura reticolare che tende ad infiltrare i luoghi del potere decisionale ed economico, e nel cui ambito i singoli sodalizi ora stringono alleanze temporanee, funzionali all’ottenimento di obiettivi puntuali, ora possono – ma più di rado – entrare in conflitto. L’atteggiamento violento, infatti, permane come una forma di ‘capitale quiescente’, pronto all’occorrenza ad esplodere se vengono minacciati gli interessi delle consorterie”. Roma, metropoli internazionale, “è crocevia di affari, nonché punto di incontro privilegiato tra organizzazioni criminali italiane e straniere”.

Una strategia camaleontica

“La strategia camaleontica attuata dai sodalizi mafiosi – avverte la Relazione – ha reso più difficile, nel tempo, comprendere e far emergere il fenomeno, favorendo in tal modo i tentativi di condizionamento delle amministrazioni locali. Era opinione comune, fino agli eventi più recenti che hanno svelato il quadro di ‘Mafia Capitale’ che il prevalente interesse coltivato dalle mafie tradizionali impiantate nella capitale fosse quello del riciclaggio” ma “la complessa vicenda giudiziaria a carico del gruppo Buzzi-Carminati ha dimostrato il cambiamento metodologico dei gruppi criminali, che talora procedono affiancando all’intimidazione violenta la sopraffazione imprenditoriale e la pervasiva ‘colonizzazione’ del sistema burocratico-politico. Un’organizzazione che, avvalendosi dell’interazione del metodo intimidatorio con quello corruttivo, era riuscita ad inserirsi in alcuni settori della gestione amministrativa del Comune di Roma”.

Sul piano generale, la criminalità organizzata di matrice romana continua comunque ad esprimere “professionalità delinquenziali di elevatissimo profilo”, rafforzata dalle interrelazioni con gruppi di matrice straniera e con sodalizi mafiosi nazionali.

Le mafie tradizionali

Roma costituisce “un territorio strategico per la ‘ndrangheta, che da tempo colloca fidate ‘teste di ponte’ chiamate ad adottare metodologie criminali improntate alla minore visibilità, specie se correlate al reimpiego di capitali illeciti. Determinante è la rete relazionale che le cosche sono riuscite ad intessere, nel tempo, con professionisti, operatori economici ed esponenti del mondo della finanza, disponibili a prestare la propria esperienza per agevolarne gli interessi sul piano nazionale ed estero”: la capacità di infiltrarsi nel territorio, dissimulando le proprie tracce, rende però difficile tracciare una mappatura esatta dei clan.

Anche l’operatività di Cosa nostra nella capitale “non si fonda sulla tradizionale accezione di controllo del territorio, bensì su un’azione tesa all’infiltrazione dell’economia e della finanza e al condizionamento della pubblica amministrazione (funzionale soprattutto al controllo dei pubblici appalti). In tal modo, la mafia siciliana mira ad occupare i mercati legali attraverso logiche manageriali volte a massimizzare i profitti e a ridurre al minimo i rischi, ‘intossicando’ i circuiti legali con immissioni di denaro sporco”.

In linea con tale strategia, “si riscontra la spiccata inclinazione a mutare dinamicamente le proprie referenze gerarchiche rispetto all’architettura mafiosa madre, ma anche a ricercare collaborazioni esterne per instaurare rapporti di scambio con ambienti politico-istituzionali”. Accanto alle cosche calabresi e alle famiglie siciliane, nella capitale sono presenti “alcune tra le organizzazioni criminali campane più strutturate, dislocate in diverse zone della città e aggregatesi attorno a figure di camorristi di rilievo, che nel tempo hanno spostato, su Roma, parte dei loro affari illeciti.

Nell’operare fuori regione anche i clan campani tendono ad evitare il ricorso ad azioni cruente e a mantenere un basso profilo, per quanto non siano mancati casi di omicidi tentati o consumati, di cui sono stati vittime affiliati che avevano violato i ‘codici’ del clan”. La capitale è anche utilizzata come rifugio per i latitanti.

I Casamonica e il caso Ostia

Un capitolo a sè è quello della famiglia Casamonica, di origine sinti, la cui scalata comincia negli anni ’70 con l’avvicinamento alla Banda della Magliana e al suo “cassiere”. “Nel corso degli anni – spiega la Dia – il sodalizio si è evoluto in un’organizzazione criminale strutturata: i legami di consanguineità e la convergenza degli interessi economico affaristici lo hanno reso estremamente coeso, monolitico e difficilmente penetrabile.

Le zone di interesse e influenza comprendono i quartieri di Anagnina, Tuscolana, Romanina, Tor Bella Monaca, la zona dei Castelli, Ciampino, Frascati, fino ad arrivare all’alta Ciociaria e al litorale laziale, nella fascia da Ostia a Nettuno, fino alla città di Latina. Traffico di stupefacenti, usura, estorsione, ricettazione di autoveicoli e truffe i business che hanno consentito al clan di accumulare un ingente patrimonio, poi reinvestito in immobili, edilizia anche abusiva, varie attività commerciali, compresa la ristorazione.

Anche Ostia Lido, sede di importanti infrastrutture turistiche e recettive “costituisce, da tempo, oggetto di interesse non solo di forme organizzate di criminalità autoctona, ma provenienti da fuori regione”. Le numerose inchieste degli ultimi anni hanno dimostrato che sul litorale hanno operato, “in posizione di sostanziale egemonia”, tre gruppi delinquenziali facenti capo alle famiglie Senese, Fasciani-Spada e Triassi-Cuntrer: “nel tempo gli elementi più rappresentativi di questi clan ed i loro affiliati sono stati in grado di muoversi efficacemente in Italia e all’estero, investendo gli introiti derivanti dalle attività estorsive, usurarie e dal narcotraffico”.

L’ascesa delle mafie etniche

Preoccupa anche la presenza sempre più massiccia di diverse “mafie etniche”, che conservano una struttura organizzativa definita e una dimensione transnazionale. I gruppi cinesi si distinguono “per la spiccata capacità imprenditoriale che si realizza anche attraverso la costituzione di società fittizie utilizzate sia per frodare il fisco che per trasferire capitali in Cina”.

I gruppi criminali dei Paesi dell’ex Unione sovietica e romeni sono attivi nello sfruttamento della prostituzione di giovani donne dell’est Europa e della manodopera maschile destinata al lavoro nero nell’edilizia, mentre quelli albanesi sono orientati principalmente verso la commissione di furti e rapine. Anche i sodalizi nigeriani sono attivi nello sfruttamento di giovani connazionali, mentre i gruppi criminali sudamericani si distinguono per lo sfruttamento di trans brasiliani e colombiani. IL favoreggiamento dell’immigrazione clandestina resta il core business dei sodalizi nordafricani. 

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