Tangenti Nigeria. Eni: richieste pm prive di fondamento

“Prive di qualsiasi fondamento”. È la reazione di Eni alle richieste di condanna a 8 anni di reclusione avanzate dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale per Claudio Descalzi, Paolo Scaroni e altri manager della società sotto processo per il presunto pagamento nel 2011 di una tangente da 1,092 miliardi di dollari che Eni e Shell avrebbero versato per ottenere una licenza del giacimento Opl-245 in Nigeria. Descalzi, oggi ad di Eni, all’epoca dei fatti era direttore generale della divisione Exploration & Production della società, Scaroni era amministratore delegato. La procura ha chiesto la condanna per corruzione internazionale, reato contestato anche all’ex direttore generale della divisione Exploration & Production di Shell, Malcom Brinded, per il quale la pena richiesta è di sette anni e quattro mesi. La condanna più alta, dieci anni di carcere, è stata invocata per l’ex ministro del Petrolio nigeriano, Dan Etete. 

Eni e i suoi manager durante le varie fasi del procedimento hanno sempre respinto tutte le accuse. Secondo la società “nel corso della requisitoria, il PM, in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti della istruttoria dibattimentale, ha ribadito la stessa narrativa della fase di indagini, basata su suggestioni e deduzioni, ignorando che sia i testimoni, sia la documentazione emersa hanno smentito, in due anni di processo e oltre quaranta udienze, le tesi accusatorie. Le Difese dimostreranno al Tribunale che Eni e il suo management operarono in modo assolutamente corretto nell’ambito dell’operazione Opl245”.

La società ribadisce che “non esistono quindi tangenti Eni in Nigeria e non esiste uno scandalo Eni” e ricorda che “Eni e Shell corrisposero per la licenza un prezzo d’acquisto congruo e ragionevole direttamente al Governo nigeriano, come contrattualmente previsto attraverso modalità chiare, lineari e trasparenti; Eni, inoltre, non conosceva, né era tenuta a conoscere, l’eventuale destinazione dei fondi successivamente versati a Malabu dal Governo nigeriano, pagamento che peraltro avvenne dopo un’istruttoria dell’Autorità Anticorruzione della Gran Bretagna (SOCA)”. A rafforzare la posizione della difesa di Eni ci sono inoltre “i provvedimenti del Dipartimento di Giustizia e dalla Sec americani, che hanno chiuso le proprie indagini senza intraprendere alcuna azione nei confronti della società”. La nota chiude ricordando che “le molteplici indagini interne affidate a soggetti terzi internazionali da parte degli organi di controllo della società avevano già da tempo evidenziato l’assenza di condotte illecite. Eni confida che la verità potrà finalmente essere ristabilita ad esito delle argomentazioni difensive che saranno svolte alla fine di settembre in attesa della sentenza del Tribunale”.

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