“Un drone rudimentale può diventare un’arma. A rischio anche obiettivi civili”

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BORIS ROESSLER / DPA / DPA PICTURE-ALLIANCE

Drone 

“Anche un drone rudimentale può diventare un’arma. Dobbiamo preoccuparci? Di certo l’uso di questi strumenti tecnologici non aiuta a ridurre la minaccia terroristica”. Così Gianandrea Gaiani, direttore di ‘Analisi Difesa’, rivista online di politica e analisi militare italiana, e consigliere dall’agosto 2018 al settembre 2019 per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno, risponde all’AGI a proposito dell’attacco con droni da parte dei ribelli houthi dello Yemen a danno di due importanti installazioni petrolifere dell’Arabia Saudita.

“La tecnologia dei droni si sta diffondendo a macchia d’olio – osserva – e a uso terroristico c’è già”. Il problema, spiega, “riguarda non solo la Difesa e l’aspetto militare. Quanto accaduto in Arabia Saudita dimostra che gli obiettivi civili sono a rischio”. La minaccia di una ‘guerra dei droni’ tocca tutti e pone il problema della sicurezza. “I droni possono essere rudimentali strumenti capaci di essere usati anche da privati, che con 3 mila euro possono comprare un drone e utilizzarlo per ‘sbirciare’ in ambasciate o altrove; o possono essere grandi droni armati. In ogni caso c’è una grande facilità nel reperirli”.

Ci dobbiamo preoccupare? “Certo, anche se – spiega – abbiamo aziende che hanno già messo a punto dei sistemi anti droni”. Come difendersi? “I droni possono essere intercettati – risponde Gaiani – abbattuti con un sistema di disturbi elettronici. Quelli grandi li puoi rilevare anche abbastanza bene, mentre per quelli piccoli devi creare un sistema a cupola, intorno all’obiettivo. Ma per creare queste difese elettroniche, devi capire quale obiettivo devi proteggere”.

È questo il punto: bisogna capire quali siano gli obiettivi civili quelli da considerare a rischio. Secondo l’esperto, “si dovrebbe varare un programma per individuare gli obiettivi sensibili, sia militari sia civili”. Chi dovrebbe farlo? “Penso che dovrebbe essere varato a livello della presidenza del Consiglio, mettendo in sinergia i vari ministeri. Secondo me – sostiene – bisognerebbe decidere di affidare la gestione di un sistema di questo tipo ad una società pubblica”.

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