Vent’anni fa la strage del Vallo di Lauro, la faida in mano alle donne

AGI – I due clan ora sono in disarmo, decimati dai lutti e dagli arresti, ma nel Vallo di Lauro i nomi dei Graziano e dei Cava fanno ancora paura. Evocano una faida che dura ormai da più di trent’anni, con decine di vittime tra affiliati, fiancheggiatori, familiari e vittime innocenti.

E venti anni fa esatti la strage più efferata, l’episodio che segna uno spartiacque nella storia dei due clan, ma anche nella camorra campana in generale.

Il 26 maggio 2002 tre donne della famiglia Cava restano uccise, due ferite, e due ferite ci sono pure nella famiglia Graziano.

A perdere la vita, la sorella del boss Biagio Cava, detto Biagino, Michelina Cava, la cognata Maria Scibelli, 53 anni, e la figlia Clarissa, di soli 16 anni.

Venti anni fa strage Lauro faida donne

© Gabriella Bianchi

L’altra figlia del capolclan, Felicetta, 19 anni, resta ferita gravemente e non riprenderà mai più a camminare, mentre Itala Galeota Lenza, 51 anni, resterà ferita in modo meno grave.  L’ultimo capitolo di questa guerra feroce però non è stato ancora scritto, perché un embrione è fallito sul nascere. Tre anni fa, i Graziano preparavano un’altra strage per eliminare la moglie e il figlio del boss rivale, Biagio Cava.

Ma il ritrovamento casuale, nell’ambito di un’altra indagine, di un manichino di donna usato come bersaglio nelle campagne del Vallo di Lauro, ha fatto scattare l’attenzione degli inquirenti e in carcere sono finiti Fiore e Salvatore Graziano, i figli del capoclan Luigi Salvatore.

Odio tramandato

Nelle due famiglie di camorra si tramandano i nomi e l’odio. E’ dal 1991, quando a Scisciano furono uccisi tre esponenti dei Graziano, che le due famiglie, si affrontano a viso aperto o con agguati preparati meticolosamente. 

La famiglia Graziano rispose a una provocazione. Le quattro donne dei Cava quella domenica di maggio, quando nel piccolo centro del Vallo di Lauro si festeggiava il patrono e si votava per il rinnovo del consiglio comunale, decisero di mettersi in macchina e andare sotto casa dei Graziano per sparare.

“Quello che ci colpì subito – racconta all’AGI Domenico Airoma, all’epoca sostituto procuratore della dda di Napoli, che coordinò le indagini, ora procuratore ad Avellino  – fu che erano tutte donne e vi era una ragazza tra le persone assassinate. Fu anche molto emotivamente coinvolgente per me, che peraltro avevo anche una figlia di quella età. Fu un fatto sicuramente non ordinario. Non fu un sopralluogo come un altro”.

Prova di forza

Forse le donne Cava volevano dare una dimostrazione di forza, rispondere a un torto subito nei giorni precedenti. Pensarono di trovare impreparato il vecchio capoclan Luigi Salvatore Graziano, e riuscire a ferire Stefania e Chiara, 20 e 21, figlie di Alba Scibelli e nipoti del boss, ma vennero inseguite e colpite. “La cosa che porto con me forse è il volto di Clarissa Cava – ricorda Airoma –  era stata colpita alla fronte un unico colpo e giaceva lì, quasi sembrava dormiente, in un contesto paradossale. C’era la festa patronale e c’erano nell’aria ancora l’odore di zolfo dei fuochi di artificio e l’odore della polvere da sparo delle armi, e il sangue che era purtroppo molto presente sulla scena. Sembrava un film, ma purtroppo non lo era”.

Le due famiglie si divisero tra il luogo della strage, via Cassese a Lauro, e il pronto soccorso dell’ospedale di Nola, dove un imponente servizio d’ordine evitò che si sparasse ancora. I protagonisti del conflitto a fuoco tra donne, anche se il boss Graziano pure vi prese parte, mettendosi nell’Alfa 146 con la quale le sue donne inseguirono quelle dei Cava, vennero individuati in poco tempo e vennero eseguiti arresti nel corso della notte.

“Avemmo una conferma e un elemento di novità – ricostruisce il procuratore – la conferma che si trattava dell’ennesimo episodio della faida che dilaniava il Vallo e le due famiglie indirizzò le indagini in quelle prime ore che seguirono l’agguato. Ma compredemmo pure che, volendo seguire una sorta di codice mafioso, era possibile pensare che un’attività del genere fosse stata realizzata, se non tutta, in parte ideata e organizzata da donne. Questa intuizione si rivelò felice e che consentì di indirizzare le indagini”.

La festa dei Graziano

Gli investigatori intercettarono la famiglia Graziano che festeggiava. “Le abbiamo sterminate tutte”, dicevano brindando. La direzione distrettuale antimafia di Napoli ricostruì l’accaduto anche attraverso un’indagine già in corso. Il Vallo di Lauro in quegli anni era un cantiere aperto, per la ricostruzione seguita alla frana di Quindici del 1998. Lavori e denaro che un clan non voleva lasciare all’altro. Questa la ragione più evidente dei contrasti, ma sullo sfondo c’era sempre l’odio profondo tra le due famiglie. Dalle intercettazioni emerse la freddezza e la determinazione della famiglia Graziano a punire le donne dei Cava. “In via Cassese – racconta all’AGI Attilio Ronga, cronista de Il Quotidiano del Sud ,che abita a pochi passi dal luogo della strage – si creò un imbuto dove finì l’Audi 80 delle Cava che fu speronata dall’Alfa blindata partita dalla villa dei Graziano di Quindici”.

“Cosa sia successo realmente è rimasta una vicenda con qualche buco nero – prosegue Ronga – il processo non ha accertato totalmente quanto avvenuto in via Cassese. Resta il fatto tragico che ci furono tre vittime e feriti anche dall’altra parte”.  Pert la prima volta nei due clan furono le mogli, le figlie, le sorelle a prendere in mano un’arma e a non avere scrupoli a uccidere.

Uomini in carcere

Gli uomini erano in carcere, o ai domiciliari, come l’anziano boss Graziano. Le donne potevano muoversi. “La scena che mi trovai di fronte, all’altezza semaforo via Cassese, era terribile – ricorda ancora Ronga – c’erano ancora le vittime a terra, rimaste per ore. E prima che arrivassero il medico legale e il magistrato, qualcuno aveva provveduto a coprire le donne fuori dall’abitacolo con un lenzuolo.Una scena abbastanza anomala per il modus operandi delle organizzazione criminali: dimostrava come quell’agguato fosse nato in maniera organizzata, ma non con le stesse modalità degli attentati fatti fino a quel momento”.

Nel processo che seguì, le condanne arrivarono anche per gli uomini. Nel settembre 2018 finì di scontare la pena la moglie di Luigi Salvatore Graziano, Chiara Manzi. Alcuni dei protagonisti di quella vicenda sono morti. A cominciare dai capiclan. 

Venti anni fa strage Lauro faida donne

© Gabriella Bianchi

Giggino Graziano è morto del 2013. Era stato condannato a 30 anni di reclusione. Biagio Cava muore nel 2017, per un tumore al cervello. All’epoca della strage era detenuto a Nizza. Per la rabbia, appena apprese la notizia, sfasciò la sua cella. Tornò libero dopo alcuni mesi, ma fu arrestato poco dopo a Marsiglia.

Progettava di rientrare, forse per consumare la sua vendetta. Non ne ha mai avuto la possibilità, ma quando incontrò in carcere il magistrato che arrestò tutti i responsabili, Airoma, gli strinse la mano con rispetto e gratitudine. E’ morto anche Antonio Mazzocchi, agente di polizia, genero di Luigi Salvatore Graziano, implicato nella strage del 2002. Fu ucciso in un agguato, ma i responsabili non sono stati mai identificati.

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