Chi è Jannik Sinner, il tennista italiano di cui si parla tanto

sinner tennis atp foro italico

Photo by Giuseppe Maffia/NurPhoto 

“A biliardo Jannik è proprio una schiappa”. Max Sartori ieri se la rideva nella player’s lounge  degli Internazionali dove Sinner, il 17enne italiano che sta infiammando il Foro Italico, dopo essersi allenato con Kei Nishikori e prima di tornare a giocare un po’ nel pomeriggio si stava rilassando con lui, con il suo maestro Andrea Volpini, il preparatore atletico Massimiliano Pinduccio, e l’altro altoatesino Andreas Seppi

Sartori a un certo punto ha posato la stecca per raccontare all’AGI come, accanto al coach Riccardo Piatti, sta allevando nell’accademia di Bordighera il tennista-prodigio di San Candido che somiglia un po’ al Ricky Cunningham di “Happy days”, un po’ a Pippi Calzelunghe e gioca a tennis con la consapevolezza e l’autorevolezza di un campione fatto e finito. 

Per Sinner e tutto il suo team era la vigilia di un grande giorno: oggi Jannik che è totalmente ma allegramente focalizzato sul tennis ma che come ogni ragazzino giustamente si concede delle distrazioni (all’AGI in una pausa dal biliardo racconta di essere un appassionato di Netflix e della sue serie “La casa di carta” e “Prison break”)  incontra il numero 7 del mondo e finalista di Madrid Stefanos Ttitsipas, dopo essersi concesso  il lusso di battere al primo turno lo statunitense Steve Johnson, numero 59 Atp, aver raggiunto gli ottavi nel torneo Atp 250 di Budapest, vinto il Challenger di Bergamo e raggiunto la finale a Ostrava. Il loro sarà il quarto match della giornata sul campo Pietrangeli.

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 GIUSEPPE MAFFIA / NURPHOTO

A 17 anni Sinner è alto 1,91, frequenta privatamente il quarto anno di ragioneria, è già il numero 228 del ranking mondiale e batte colleghi molto più in alto di lui, il team Piatti è in festa?

“Questi risultati ci sorprendono fino a un certo punto. Ce li aspettavamo tra sei mesi, sono arrivati prima, ma erano previsti dal nostro programma. Quando a 14 anni Jannik è arrivato a Bordighera abbiamo capito che in lui c’erano le qualità per farlo esplodere a 17 anni piuttosto che a 2. che dovevamo farlo giocare con i più grandi, facendogli seguire la strada dei Challenger anziché quella dei tornei juniores e anche che non dovevamo commettere errori”. 

Non fate una piega, ma quello con Tsitsipas è un match da grandi emozioni, la sua prima volta contro uno dei primi dieci del mondo e pure in un’arena storica come quella del Pietrangeli…

“La consideriamo una partita importante ma, rispetto al nostro lavoro, il risultato è secondario. Se contro ogni previsione dovesse arrivare a vincerla sarà una cosa grandiosa, certo, ma è soprattutto un importante test perché Tsitsipas è  un avversario che ha percorso un po’ la stessa veloce strada di Jannik. Non è molto più vecchio di lui, ha tre anni in più e ha avuto una carriera veloce come la sua. Vedremo che livello riuscirà a tenere, quanto è eventualmente distante da lui, il match ci servirà insomma a calibrare ancora meglio il suo percorso”. 

“Spesso cerchiamo le situazioni difficili per Jannik, facendolo giocare quando è stanco o con giocatori di livello superiore. Proprio per capire fin dove può spingersi. E il match con Tsitsipas potrà indicare se tra tre anni anche lui potrà essere tra i primi dieci del mondo. Anche se lui che a 7 anni era un campione di sci, punta a diventare il numero uno. Ma anche se le vittorie non mancano, non  le riteniamo più importanti del percorso  progettato per lui”.

Qual è questo percorso?

“Jannik è in costruzione, non stiamo attenti ai risultati quanto alla sua crescita: durante l’anno gioca ogni giorno tre ore a tennis e poi gli toccano quattro ore di atletica perché stiamo cercando di farlo  irrobustire con un programma triennale cominciato nel 2017 e che terminerà nell’inverno prossimo. Quello fisico è un percorso silenzioso, che non si vede ma è importantissimo. E anche ora che è sotto torneo si allena sul campo oltre due ore e mezzo al giorno e non si limita all’oretta di prammatica. Anche a discapito dei risultato”. 

Ma come l’avete scoperto questo talento?

“Me lo ha segnalato, quattro anni fa, un mio collaboratore. Allora Sinner si allenava con il maestro Hebi Mayr, io sono andato a giocare con lui a Ortisei e e gli ho detto subito che lo avrei portato a Bordighera per farlo vedere a Piatti. Ci mise quattro mesi, però prima di potergli mostrare quel talento perché Riccardo era sempre impegnato”.

“A un certo punto gli ho forzato la mano, ho ospitato Jannik qualche giorno a casa mia a Bordighera e un giorno l’ho portato da lui, senza appuntamento. E dopo averlo visto cinque minuti  in campo Piatti mi ha detto: “Come facciamo ad adottarlo?”. Sono andato al rifugio di San Candido dei genitori di Jannik, Hans Peter e Siglinde e li ho convinti a separarsi dal figlio, si sono subito fidati di me anche perché sono il coach storico di Seppi. Jannik era già convinto di suo”.

I genitori hanno un ruolo estremamente delicato, la storia del tennis è ricca di campioni rovinati da padri e madri.. 

“Siglinde è a Roma e vedrà la partita con Tsitsipas su richiesta esplicita di Jannik. Il papà è dovuto tornare invece tornare a lavorare nel suo rifugio dopo il primo turno, ma questa è solo la seconda volta che si palesano nei suoi tornei, non somigliano affatto ai genitori invadenti che popolano il circuito, Vengono a trovarlo a Bordighera ogni mese circa, ma durante il giorno non si presentano sui campi, vanno a farsi i loro giri, magari a Nizza e stanno con il figlio solo la sera. Non interferiscono mai con il nostro lavoro e questo è davvero un punto di forza. Il messaggio che gli passano è: “Questa è la tua vita noi non ci intromettiamo”.

Come è cambiato Jannik da quando tre anni fa è arrivato a Bordighera?

“Era un quattordicenne, un ragazzino che girava con la sua bicicletta, non sapeva bene cosa lo aspettava, ma gli è piaciuto tutto da subito. Non ha mai sofferto di nostalgia rispetto alla famiglia, anche perché ogni tanto torna a San Candido”. 

“Lavorare con lui è stato da subito molto semplice: è educato e rispettoso, è facile rapportarsi con lui in campo e fuori. Con Piatti stiamo puntando a farlo crescere senza paura e senza buchi, dotandolo di contenuti di alto livello, fatti di un bagaglio tecnico, mentale e fisico”. 

Non temete che possa perdersi come è successo ad altri ragazzi forti a 18 anni e poi scomparsi dal radar?

“Il perdersi è spesso dovuto al fatto che manca qualcuno di questi contenuti. Noi puntiamo a far crescere Sinner senza timori, adottando sempre spiegazioni in positivo, come gli abbiamo spiegato da subito. Non gli diciamo mai “fai male il dritto”, ad esempio, ma “puoi farlo meglio”. 

Dove può migliorare?

“Nel dritto e anche nel gioco al volo, mentre il suo colpo migliore al momento è il rovescio bimane e il servizio è buono. E poi ovviamente nel fisico (oggi Sinner è alto 1,91 e pesa 75 chili). Il lavoro atletico che abbiamo impostato non si vede ma è importantissimo”. 

E l’aspetto mentale di questo ragazzo che sembra già avere la testa da adulto? 

“Jannik è in competizione con la vittoria, mai con la sconfitta. Quando perde gli interessa solo capire se aveva il livello di gioco necessario per quella partita”. 

Ma ha solo 17 anni, non si arrabbia mai, l’ha mai spaccata una racchetta? 

“Ma sì, una volta gli è successo ed è normale. Se ogni tanto tira fuori le emozioni, anche esagerando, va benissimo”.

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