Come fanno migliaia di persone a entrare alla Sapienza per una festa ‘clandestina’

rave sapienza

Mimmo Frassineti / AGF

La Sapienza

C’è chi lo chiama rave. Chi notti bianche. Chi, un po’ romanticamente, serate danzanti. A volte gratuite, altre a pagamento – come quella della notte tra venerdì e sabato, quando un ragazzo è stato trafitto da uno spuntone della cancellata della Sapienza mentre cercava di scavalcare ed è morto dissanguato in ospedale. Di certo c’è che sono illegali, in ogni loro forma.

Ma dopo la morte del 25enne laureato alla Luiss in molti si chiedono come sia possibile che migliaia di persone riescano a eludere la sorveglianza del personale della Sapienza e si riversino negli spazi intorno alla Minerva allestendo palchi – per quanto improvvisati – su cui esibirsi; montando amplificazione e strumenti e portando fiumi di alcol.

Ecco come fanno.

I varchi della Sapienza chiudono intorno alle 21, quando le attività sono ormai concluse e persino i ricercatori più tiratardi hanno deciso di mollare. E’ a quel punto che chi è determinato a organizzare un rave (o comunque lo si voglia chiamare) si piazza in uno degli ingressi che viene chiuso per ultimo – solitamente quello che dà su piazzale Aldo Moro – inibisce il funzionamento della fotocellula e impedisce la chiusura del cancello e della sbarra. A quel punto il gioco è fatto: può entrare chiunque e di tutto ed è quello che accade.

Alla Sapienza sono convinti che dietro l’organizzazione di queste serate – che generalmente cominciano alle 23 e finiscono intorno alle 3 del mattino – non ci siano studenti, ma esterni, soprattutto dai centri sociali. Non a caso si tratta – come rivelano le immagini dei circuiti di sicurezza – di persone più grandi dell’età media degli studenti universitari e che ormai hanno una certa esperienza, come dimostrano numerosi precedenti, a partire dall’aprile 2018 quando migliaia di persone parteciparono al ‘Teppafestival‘ tra i viali dell’ateneo. Si calcola che dalla tarda primavera e fino a fine giugno siano in media 3 o 4 ogni anno gli eventi di questo tipo. 

Ma si potrebbe organizzare una festa alla Sapienza senza dover per forza farlo in modo illecito? Sì, basterebbe chiedere il permesso. Quanto sia facile ottenerlo è poi da vedere, ma alla Sapienza assicurano che nessuno ha mai presentato una richiesta. Cosa può fare l’Ateneo per impedire l’anarchia? Molto poco, quasi niente e per varie ragioni. La sicurezza della Sapienza è garantita da vigilantes e dagli agenti di un commissariato che si trova proprio all’interno dell’Università, Sanno tutti quello che sta per succedere – le feste, per quanto ‘clandestine’ sono ben pubblicizzate sui social – ma il margine di manovra è molto ristretto. In una occasione, a maggio del 2018, la seconda edizione del ‘Teppafestival’ fu impedita all’ultimo momento dalla vigilanza che riuscì a chiudere tutti i varchi. Ma quattro mesi dopo, a settembre, il colpo riuscì e di nuovo migliaia di persone si riversarono tra i viali. 

Del resto fermare l’onda di piena significherebbe confrontarsi duramente con gli studenti: una scelta che potrebbe costare cara a chiunque se ne assumesse la responsabilità perché il costo politico delle manganellate su ragazzi riuniti a far festa diventerebbe insostenibile. Se il Rettore dovesse chiedere l’intervento della forza pubblica per lo sgombero, viene fatto notare, suonerebbe come una misura eccessiva, visto che l’occupazione non dura più di qualche ora. Così la polizia e la sicurezza non possono fare altro che monitorare la situazione, verificare che non vengano commessi illeciti – nei limiti del possibile – e soprattutto vigilare che nessuno si faccia male o faccia troppi danni. Nessuno ha mai osato decapitare la Minerva che si erge nel piazzale dell’Università, ma qualcuno l’indomani deve pur ripulire i viali da lattine, bottiglie, cumuli di rifiuti e pozze di urina. 

Nessuno ha mai varcato le porte degli edifici, viene sottolineato, quindi le leggende che parlano di feste tra i banchi degli emicicli sono solo questo: leggende. Ma è verissimo che all’ingresso del varco rimasto aperto si piazza un banchetto dove viene chiesto un obolo dii 3 euro per entrare e partecipare alla serata. Ci sono i dj set, le proiezioni di film e tutto quello che fa ‘festa’, ma senza pagare un soldo alla Siae e vendendo alcolici senza alcuna autorizzazione. E’ sempre possibile che la situazione degeneri e per questo polizia e vigilantes restano all’erta e viene chiamata un’ambulanza che resta lì fino a quando anche l’ultimo ragazzo è andato via. La stessa ambulanza che si è precipitata a soccorrere il giovane ferito nel tentativo di scavalcare la cancellata per non dover affrontare la lunga fila che si era creata alla ‘cassa’ per l’ingresso.

L’indomani le videoregistrazioni vengono analizzate, le denunce presentate e tutto generalmente finisce in un faldone in Procura in attesa dell’archiviazione. Non sempre, però, perché sul ‘Teppafestival’ c’è una inchiesta per violenza  privata contro 21 persone.

Per la nottata del 22 giugno la Sapienza era stata addirittura divisa in 5 zone, come riporta il Messaggero, per ospitare le diverse iniziative. La prima una festa alla Facoltà di Lettere, dalle 20 alle 2; la seconda, in viale della Minerva, con diversi gruppi musicali; sempre dalle 20, davanti a Chimica, lezione di arti marziali offerta da un centro sociale romano; davanti a fisica, invece, ecco il live Painting. “Vogliamo rendere la Sapienza un Porto Aperto, vogliamo aprire in questa università, che è degli studenti e delle studentesse, spazi in cui stare insieme” scrivevano gli organizzatori su Facebook.

A leggere le reazioni politiche dopo la tragedia, c’è chi, come Fratelli d’Italia, chiede che “tutte le università italiane siano liberate dai teppisti dei centri sociali e riconsegnate agli studenti”. Ma la ‘lezione’ che i ragazzi hanno avuto nella notte tra venerdì e sabato, dice qualcuno tra le mura ora deserte della Sapienza, è la più dura e drammatica che potessero avere. Una lezione che nessuno avrebbe voluto dare.

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