I migranti  ‘sfrattati’ dai bagni pubblici per la prima moschea di Milano chiedono un’altra casa

AGI – La vita negli ex bagni pubblici di epoca fascista, poi fabbrica di bottoni, poi scuola per carrozzieri, sembra procedere come sempre.

Adama, un ragazzo altissimo originario del Mali, indossa un sottile impermeabile rosa per raggiungere sotto al diluvio piazzale Loreto dove lavora per la sicurezza di un grande magazzino. Ha un contratto di sei mesi, poi si vedrà.

Ora la sua principale preoccupazione e quella della quarantina di migranti ventenni e trentenni, tutti con le carte in regola per stare in Italia, è che tra pochi giorni la loro abitazione da 7 anni dovrà essere liberata per lasciare posto alla prima moschea ‘ufficiale’ di Milano. Dopo che la Casa della Cultura Musulmana si è aggiudicata il bando con base d’asta 450mila euro e le sono stati ceduti a luglio i diritti di superficie, il Comune ha fatto sapere a chi ci vive che se ne deve andare. Negli ultimi mesi rappresentanti degli inquilini e dell’amministrazione si sono incontrati per trovare delle soluzioni alternative di alloggio ma al momento non è stato trovato un accordo.

Sebbene sia cadente, l’edificio di 1500 metri quadri, basso e in nitido stile fascista, ha bagni, docce, letti, due spazi per la cucina e uno per la preghiera islamica. Dice uno degli abitanti: “Ho moglie e tre figli in Mali, non li vedo dal 2016. Li sento spesso. Ho la protezione sussidiaria, nemmeno volendo potrei tornare nel mio Paese. Senza un alloggio, non posso far venire i miei familiari. Ho paura di finire in strada”.

“Alcuni hanno contratti a tempo indeterminato con paghe che però non gli permettono un alloggio. Se guadagnano sui 900 euro e una stanza costa minimo 450 euro, come fanno a pagarsi un tetto? – afferma all’AGI Salvatore del collettivo ‘Ci Siamo’, una rete che aiuta i migranti -. Nessuno è in nero, spesso hanno impieghi stagionali o a chiamata. E’ importante dire che qui il tema non è la marginalità ma quello del diritto alla casa e dei salari decenti in una città come Milano. Perché non vanno a vivere fuori? Perché, per i lavori che fanno, sarebbe molto complicato spostarsi con gli orari. Sono rider, addetti alla sicurezza o alle pulizie, operai della logistica o impiegati nella ristorazione”. 

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©  @AGI

Interni degli ex bagni pubblici 

Al primo gruppo ‘storico’ del 2016, rimasto qui, si sono aggiunti di volta in volta gli altri. Tutti accolti, dopo una presentazione in assemblea, se c’erano posti letto liberi. “Tra loro c’è sempre stata una forte solidarietà – riflette Salvatore -. Se qualcuno perde un lavoro, gli altri gli garantiscono cibo e sostegno”. Gari, un altro degli ospiti, non vede una luce per il futuro: “Se perdo la casa poi rischio di perdere anche il lavoro. I dormitori hanno orari oltre i quali non ci puoi andare e il mio lavoro ha entrate e uscite flessibili. A quel punto, o molli il lavoro per avere un posto dove stare o lasci il tetto per continuare ad avere un impiego”.  

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© @AGI

L’angolo adibito a preghiera

I ragazzi sono tutti musulmani, nessuno ce l’ha con l’associazione che subentrerà a in queste stanze spostandosi da via Padova, dove loro stessi vanno a pregare. “Come abbiamo detto al Comune, nessuno vuole difendere questo posto ‘contro’ la moschea – chiarisce Salvatore, che ha partecipato agli incontri a Palazzo Marino -. Il diritto che si vuole rivendicare è quello dell’abitare. Al Comune abbiamo dato una lista con età, nazionalità e documenti di soggiorno. Ci è stato detto di cercare posto nei pensionati. Li abbiamo chiamati ma sono tutti pieni”.

In via Esterle, vicino agli ex bagni pubblici c’è un deposito dell’Atm, l’azienda pubblica dei trasporti. “Sono ragazzi che non hanno mai creato problemi – considera un dipendente -. Li vediamo uscire e andare al lavoro a tutti gli orari. A qualcuno possono dare fastidio? Vuol dire che non ha pietà di vite più difficili della sua”.      

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