“Il muro è crollato”. Un carabiniere ha accusato i colleghi del pestaggio di Stefano Cucchi

"Il muro è crollato". Un carabiniere ha accusato i colleghi del pestaggio di Stefano Cucchi

A nove anni dai fatti, sono ancora aperti i processi scaturiti dalla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni arrestato dai carabinieri il 16 ottobre del 2009 per detenzione di stupefacenti e deceduto sei giorni all’ospedale Sandro Pertini. E dopo la celebrazione di un processo ‘sbagliato’ che vedeva imputati tre agenti della polizia penitenziaria accusati di aver pestato Cucchi nelle celle di sicurezza del tribunale all’indomani del suo arresto e poi assolti definitivamente dalla Cassazione, la ‘verità giudiziaria’ che a suon di intercettazioni e testimonianze sta emergendo nel processo-bis in corte d’assise nei confronti di cinque carabinieri (tre dei quali rispondono di omicidio preterintenzionale) appare oggettivamente meno lontana (Il Fatto Quotidiano).

L’accusa di un carabiniere ai colleghi 

Tanto più dopo la svolta di oggi, con il carabiniere Francesco Tedesco che ha chiamato in causa i colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusandoli del pestaggio. Un elemento che rafforza la convinzione della Procura, che continua a svolgere accertamenti sull’operato di alcuni militari dell’Arma, di aver raccolto elementi sufficienti per contestare ai tre carabinieri, già in servizio presso il Comando Stazione di via Appia, il pestaggio di Cucchi il giorno del suo arresto “con calci, pugni e schiaffi”, che hanno provocato “una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale” e lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti che, “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che lo avevano in cura al Pertini” hanno determinato la morte. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia assieme al maresciallo Roberto Mandolini (comandante all’epoca della stessa Stazione) mentre il collega Vincenzo Nicolardi risponde solo del secondo reato.

“Il muro è crollato” ha commentato Ilaria Cucchi su Facebook. “Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi” prosegue la sorella del geometra (Repubblica)
 

Le ragioni del pestaggio di Cucchi

Il falso si riferisce al verbale di arresto in cui “si attestava falsamente” che Cucchi era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento: circostanza non vera ma che ha rappresentato la ragione del pestaggio di Cucchi, ritenuto “non collaborativo all’operazione”. Mandolini e Tedesco, poi, secondo il pm Giovanni Musarò, non avrebbero verbalizzato la resistenza opposta dal ragazzo nella stazione dove venne condotto per la foto di rito e avrebbero attestato ‘falsamente’ che l’arrestato non aveva voluto nominare un difensore di fiducia.

La calunnia è invece legata alle varie testimonianze rese nel primo processo davanti alla corte d’assise dove per l’appunto erano imputati tre agenti della polizia penitenziaria, accusati implicitamente da Tedesco, Mandolini e Nicolardi delle botte al detenuto. Quanto ai medici del Pertini, è ancora in corso di svolgimento (prossima udienza il 29 ottobre) il terzo processo d’appello, dopo due annullamenti delle sentenze di assoluzione da parte della Cassazione, nei confronti del primario Aldo Fierro e dei medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo che ebbero in cura Cucchi. (L’ultimo audio di Cucchi, su Corriere della Sera)

Anche se il reato loro contestato (l’omicidio colposo) è da tempo prescritto, la seconda corte d’assise d’appello ha deciso di nominare un clinico medico in ambito ospedaliero, di nazionalità tedesca, per spiegare come si è arrivati alla morte di Cucchi. Quanto alle cause del decesso, è stata già la stessa Suprema Corte a indicare di fatto che Cucchi è morto di fame e di sete. Conclusa la vicenda con una definitiva assoluzione, come già detto, per i poliziotti della penitenziaria, per tre infermieri del Pertini e per il medico che per primo visitò Cucchi, il solo processo che si è chiuso del tutto è quello che chiamava in causa il funzionario del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria Claudio Marchiandi: la Procura lo aveva accusato di falso ideologico, abuso d’ufficio e favoreggiamento per essersi attivato, contribuendo ad alterare la cartella clinica, per far sì che Cucchi fosse ricoverato in una struttura protetta (appunto quella del Pertini) per coprire di fatto chi lo aveva pestato, pur sapendo che un paziente come lui, che presentava patologie non stabilizzate, non dovesse essere trasferito lì. Sei processi sono stati necessari perché Marchiandi alla fine fosse scagionato da ogni accusa con la formula “perché il fatto non sussiste”.

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