La condanna dell’imprenditore che sparò al ladro, spiegata

angelo peveri condannato

Piacenza 24

Angelo Peveri

Angelo Peveri è un imprenditore del Piacentino entrato in carcere per scontare una pena a quattro anni e mezzo per aver sparato a un ladro che si era introdotto in uno dei suoi cantieri per rubare del gasolio. Con lui è stato condannato un operaio romeno, accusato di averlo aiutato. Sì, ma aiutato a far cosa?

Secondo il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a difendersi. “Da italiano la sensazione è di qualcosa che non è giusto perché che sia in galera un imprenditore che si è difeso dopo 100 furti e rapine e sia a spasso il rapinatore in attesa del risarcimento danni, questo mi dice che bisogna cambiare presto e bene le leggi” ha detto il leader della Lega che il 23 febbraio è andato a trovare Peveri. Ma inquirenti prima e giudici poi non la vedono allo stesso modo: secondo loro – e secondo le ricostruzioni balistiche – l’imprenditore non si è difeso, ma ha cercato di farsi giustizia da sé. 

La giustizia ha compiuto il suo corso e, in tre gradi di giudizio, ha stabilito che Peveri è da considerare responsabile di tentato omicidio. Cerchiamo di fare ordine.

I protagonisti della storia

Angelo Peveri è un imprenditore che ha diversi cantieri in Italia. Negli anni ha denunciato decine di furti – una quarantina – ma racconta di averne subiti molti di più. In molti casi si tratta di ladri che si introducono nei cantieri per rubare gasolio dai mezzi pesanti. In altri portano via attrezzature e materiale edile. Oltre al danno economico diretto, si tratta per Peveri di un danno indiretto, dovuto al rallentamento nei lavori.

George Botezatu è un operaio romeno che lavora con Peveri.

Jucan Dorel è un disoccupato romeno, incensurato all’epoca dei fatti.

Cosa è successo, secondo le sentenze

E’ il 5 ottobre del 2011, una notte tersa e la luna non ancora piena illumina il fiume Tidone dove l’impresa di Peveri ha un cantiere per l’esecuzione di alcuni lavori. Quando scatta l’antifurto, arrivano sia l’imprenditore che Botezatu. Peveri, riporta il Corriere, è armato di un fucile a pompa e si lancia all’inseguimento. Spara tre colpi (durante le indagini dirà di avere puntato in aria) e ferisce uno dei ladri a un braccio. I banditi riescono a fuggire.

Sembra finita, ma poco dopo un ladro, Jucan Dorel, torna nei pressi del cantiere per recuperare l’auto con cui la banda è arrivata sul posto. Ad aspettarlo, però, ci sono Peveri e Botezatu. Dorel viene immobilizzato, costretto a inginocchiarsi e la testa gli viene sbattuta per terra. E’ a questo punto che dal fucile di Peveri parte un quarto colpo, secondo la Procura da distanza ravvicinata, poco più di un metro, con una inclinazione che lascia pensare che sia stato sparato dall’alto verso il basso, come contro una persona inginocchiata.

Com’è andata a finire

Dorel, colpito al petto, sopravvive e patteggia una pena a 10 mesi per tentato furto di gasolio. Peveri e il suo dipendente vengono invece condannati per tentato omicidio a 4 anni e mezzo perché, secondo la Procura, si è trattato di tentato omicidio e non di legittima difesa. La Cassazione respinge la richiesta della procura generale, secondo cui il processo era da rifare, e conferma la condanna.

La richiesta di grazia

Salvini non esclude di rivolgersi a Mattarella, come già fece in un caso simile, ma prima vuole parlare con i legali di Peveri. Parlare di richiesta di grazia da parte del ministro dell’Interno, però, è improbabile: la legge prevede che a farlo siano il condannato, un suo prossimo congiunto, il convivente, il tutore o curatore, oppure un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli. La domanda va presentata al ministro della Giustizia che la inoltra, con un parere, al presidente della Repubblica. Nessun passaggio, quindi, per il Viminale. 

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