Le piste ancora aperte sul caso Moro

caso moro via fani

Le presenze ‘estranee’ in via Fani, i covi delle Brigate Rosse sparsi per Roma, il ruolo svolto dallo psichiatra americano Steve Pieczenik, e altro ancora. A 41 anni dall’assassinio di Aldo Moro e del ritrovamento del cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, sono tanti i filoni di indagine ancora aperti al vaglio della magistratura capitolina.

Alcuni di questi sono stati alimentati dai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta che ha messo a disposizione degli inquirenti gli esiti delle indagini svolte in buona parte dal tenente colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo nella veste di consulente. Altri, come quello sul presunto coinvolgimento dei servizi segreti a bordo di una moto Honda in via Fani, a supporto del commando brigatista, nelle fasi ‘caldissime’ del rapimento dello statista Dc e dell’eccidio degli uomini della scorta, sono oggetto di approfondimento da parte dalla procura generale cui spetta accertare una volta per tutte anche la presenza di un presunto boss della ‘ndrangheta quella mattina del 16 marzo 1978.

Le Br avevano “covi di riserva”?

Cè’ poi il capitolo legato ai covi dove si sospetta possa essere stato tenuto segregato l’esponente politico durante i 55 giorni di prigionia. Oltre a quello di via Montalcini 8, il pm Eugenio Albamonte sta verificando se ne esista un altro, in zona Eur, che le Br avrebbero potuto utilizzare come covo di riserva rispetto all’appartamento al Portuense preso in affitto dalla militante Anna Laura Braghetti. E una serie di accertamenti sono stati disposti per capire se anche nel quartiere della Balduina, vicino a via Fani, ci sia stato un appartamento sospetto con accesso diretto dal garage tramite ascensore.

L’attenzione dell’organismo parlamentare si era soffermata, in particolare, su via Licinio Calvo dove le Br, qualche ora dopo l’agguato di via Fani, abbandonarono le tre auto usate per l’agguato, uccidere i cinque agenti della scorta e sequestrare Moro.A tal proposito, la Commissione aveva acquisito agli atti un appunto del 17 marzo 1978 in base al quale una fonte della Finanza segnalava che lo statista Dc era stato nascosto nella zona di Roma Nord e comunque in un’area a circa due chilometri da via Fani. Ad oggi, però, tutte le ricerche investigative non hanno portato a nulla di penalmente rilevante.

Le rivelazioni di Cutolo e Pieczenik

Restano poi in piedi segmenti ‘minori’ di indagine, anche questi destinati a non dare frutti: uno è scaturito dalle dichiarazioni rese nel 2016 nel carcere di Parma dall’ex boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo che ai magistrati di piazzale Clodio rivelò che avrebbe potuto salvare Moro se un contrordine proveniente da Roma non avesse fatto saltare il progetto. L’altro è legato alla figura di Steve Pieczenik, il consulente della Cia esperto di terrorismo che durante il sequestro Moro faceva parte di un Comitato di Crisi creato dall’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga.

Pieczenik, in un libro, raccontò di aver portato avanti un piano di ‘manipolazione strategica’ perché si arrivasse all’uccisione dell’esponente Dc, unico modo per garantire in Italia la stabilità della situazione politica. L’ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa ha però ritrattato in buona parte quanto rivelato a suo tempo.

A chiarire gli ultimi misteri del caso Moro potrebbe presto contribuire anche la direzione nazionale Antimafia con la creazione di gruppo di lavoro ‘ad hoc’, annunciato a suo tempo dal procuratore Federico Cafiero de Raho e coordinato dall’aggiunto Giovanni Russo, che dovrebbe rileggere tutto il materiale investigativo relativo ai principali fatti di sangue, compresi gli anni segnati dalle stragi e dai delitti di terrorismo ‘rosso’ e ‘ nero’.

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