Storia di Roger Federer, il Re elegante che ha vinto incantando

AGI – “Vorrei ringraziare i miei avversari in campo. Ho avuto la fortuna di giocare tante partite epiche che non dimenticherò mai. Abbiamo giocato con passione e intensità e ho sempre fatto del mio meglio in campo. Ci siamo spronati a vicenda e insieme abbiamo portato il tennis a nuovi livelli”.

È nell’ultimo messaggio, quello in cui annuncia l’addio all’attività agonistica, inviato ai suoi grandi avversari, Nadal e Djokovic su tutti, che c’è tutta l’essenza di Roger Federer, un campione immenso che ha scritto pagine indelebili della storia dello sport, non solo del tennis. Un campione che era anche un signore, un esempio in campo e fuori, un modello per milioni di giovani.

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© RYAN PIERSE / POOL / AFP

Federer e Nadal a Wimbledon nel 2008

La sua è stata una favola sportiva forse irripetibile iniziata molti anni fa sui campi di tennis di Basilea. C’era una volta un ragazzino svizzero con i capelli lunghi e tinti di biondo col fuoco dentro che giocava a tennis in maniera magnifica, rompeva racchette e piangeva a dirotto quando perdeva. E perdeva spesso, malgrado fosse dotato di un gioco superiore e di un dritto favoloso.

Si chiamava – e si chiama – Roger Federer ed era destinato a diventare il tennista più popolare, più ammirato e più amato del mondo. E forse anche il più forte di sempre. Sicuramente quello che ha macinato record su record e ha fatto sognare diverse generazioni di appassionati.

Forse il più grande di tutti

Un fenomeno che è diventato sinonimo di tennis per oltre vent’anni e che oggi si arrende definitivamente alla legge del tempo e dice addio alla racchetta a 41 anni. Un fenomeno che è diventato uno dei tennisti più vincenti di sempre, il primo a conquistare 20 major (tornei del Grande slam: Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open), un atleta eccezionale e uno degli interpreti più grandi ed eleganti del tennis, capace di contenere le proprie emozioni durante il match per poi piangere (spesso) durante la premiazione.

Eppure Roger Federer non è stato sempre così. Lo ha raccontato con dovizia di particolari e informazioni spesso inedite, nel libro-biografia ‘Roger Federer. Il maestro’ (Edizioni Baldini+Castoldi), il giornalista che forse lo ha conosciuto meglio, Christopher Clarey, che l’ha intervistato più di venti volte nel corso di vent’anni per il ‘New York Times’ e l”International Herald Tribune’.

La storia di ‘King’ Roger inizia a Basilea dove è nato l’8 agosto 1981 all’ospedale universitario, secondo figlio della sudafricana Lynette e di Robert Federer, entrambi ex atleti di discreta levatura che hanno iniziato a giocare a tennis relativamente tardi.

Il piccolo Roger ha imparato a giocare a Basilea poi ha affinato la sua preparazione in altre città svizzere (Ecublens, una cittadina poco fuori Losanna, sul lago di Ginevra, e Biel/Bienne, città di lingua tedesca e francese unica in Svizzera ad aver dedicatio una via a Federer) ma in un Paese così vario, con quattro lingue ufficiali, ha ricevuto moltissime influenze straniere nei suoi primi anni di vita.

L’incontro con Carter e Paganini

Nel suo libro, Clarey racconta cose che in pochi sanno e che gettano nuova luce sul ‘marziano’ del tennis. A partire dall’ex giocatore professionista su cui si è modellato il suo gioco, quello che lo ha influenzato più di chiunque altro e su cui si è plasmato il suo tennis perfetto, elegantissimo, ‘divino’.

Non e’ Pete Sampras, che pure era il suo idolo – al quale diede il dispiacere di fallire il record di sei vittorie di fila a Wimbledon battendolo agli ottavi di finale nel 2001 – né altri grandi campioni come Stefan Edberg (che per un periodo sarebbe diventato il suo allenatore), ma un giocatore che ha raggiunto al massimo la posizione numero 173 in classifica di singolare (117 in doppio), Peter ‘Carts’ Carter.

Un australiano che si mise in mostra da juniores ma che poi non mantenne quanto prometteva per una serie di motivi: infortuni, mancanza di potenza nel gioco, sofferenza cronica alla schiena.

Per guadagnare girò l’Europa giocando tornei tra club e poi arrivò a Basilea dove si fermò e iniziò a insegnare tennis all’Old Boys Basel, un club importante ma senza pretese dove Lynette Federer, che giocava nella sezione femminile del club, decise di iscrivere il figlio Roger di otto anni.

E lì il piccolo prodigio fu affidato alle cure di Carter che gli insegnò a giocare un tennis d’attacco e a colpire la palla con l’eleganza che sarebbe diventata il marchio di fabbrica di Roger Federer.

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© DANIEL LEAL-OLIVAS / AFP

Djokovic, Federer (Wimbledon 2019)

Con Carter, Roger ebbe un rapporto strettissimo fatto di grande amicizia, di tradimenti (quando lasciò la ‘tutela’ della federazione svizzera scelse come suo allenatore lo svedese Peter Lundgren preferendolo proprio a Carter) e di dolore fortissimo, quando ‘Carts’ mori’ durante il suo viaggio di nozze nel 2002 in Sudafrica, dove era andato dietro consiglio della famiglia Federer. Roger ne fu scosso in maniera tremenda.

Altra rivelazione ai più ignota riguardo il ‘pianeta Federer’ è quello che secondo Gunter Breskin, decano dei tecnici austriaci, è “la persona più importante nella carriera di Roger”, ossia Pierre Paganini. Un ex decatleta svizzero diventato preparatore atletico che conobbe Federer nel 1995 e si unì al suo team nel 2000.

È stato lui a rendere possibile la longevità sportiva del campione di Basilea, creando per lui un percorso di allenamento che non ha mai stressato il suo fisico e gli ha permesso di mantenere reattività e resistenza anche in età avanzata per un atleta.

“Nel tennis devi essere forte, veloce, coordinato e avere resistenza, per cui bisogna svolgere esercizi per allenare questi aspetti – racconta Paganini a Clarey – ma non bisogna mai dimenticare che poi userai queste caratteristiche sul campo da tennis, non in strada o in piscina. Per questo è necessario creare un collegamento tra la velocità e come la si sfrutterà in campo, dove nove volte su dieci la velocità è nei primi tre passi prima di colpire la palla. Quindi ci si deve allenare per essere particolarmente veloci nei primi tre passi“. 

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© Afp

Mirka e Roger Federer

Ha lavorato su sé stesso

All’inizio della sua carriera il tennista di Basilea era ancora in fase di formazione ed era in conflitto perenne con se stesso, contro la sua voglia di vincere sempre e contro la sua esuberanza e incontinenza emotiva. Un periodo che in pochi ricordano, perché il campione che tutti conoscono, quello che all’inizio degli anni Duemila ha dominato il tennis e poi si è confrontato contro il fenomeno esplosivo di Maiorca, Rafael Nadal (e poi col fenomeno serbo Novak Djokovic), era diverso: freddo, razionale, impassibile, quasi distante. E non sudava mai.

Eppure, racconta Clarey, per arrivare a quello stato di autocontrollo Federer ha dovuto lavorare tanto su se stesso ed è stato aiutato anche da uno psicologo dello sport, l’ex calciatore svizzero Christian Marcolli, che lo prese in cura quando aveva 17 anni.

Nel suo racconto Clarey arriva poi a quella che è la storia sportiva a tutti nota. Racconta quindi dettagli, particolari e curiosità delle grandi vittorie e delle clamorose sconfitte del ‘maestro’.

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© Yong Teck Lim/Getty Images North America/Afp

Roger Federer

Racconta del suo carattere che lo porta a disperarsi dopo una sconfitta e a dimenticarsi di tutto il giorno dopo. Racconta del campionissimo dalla lacrima facile (dopo la sua prima vittoria a Wimbledon nel 2003 contro Philippoussis il tabloid inglese ‘Daily Mirror’ titolo’: “It’s Roger Blubberer”, è Roger il Piagnone).

Le incredibili sconfitte

La carriera di Federer è costellata di record, vittorie, incredibili battaglie e altrettanto incredibili sconfitte. Ed è interessante notare che uno dei tennisti più vincenti di sempre e detentore di molti record, sarà ricordato anche per le sue incredibili sconfitte. Su tutte la semifinale degli Australian Open del 2005 persa contro Marat Safin dopo una maratona finita oltre la mezzanotte o la finale di Wimbledon del 2008 vinta da Nadal 6-4, 6-4, 6-7(5-7), 6-7(8-10), 9-7 e considerata da McEnroe la più bella partita di tennis dell’era moderna (anche più avvincente della sua storica sfida persa contro Borg nel 1980).

Oppure, ovviamente, la finale del 2019 a Wimbledon vinta da Djokovic con il punteggio di 7-6 (5), 1-6, 7-6 (4), 4-6, 13-12 (3) che con le sue quattro ore e cinquantasette minuti e’ anche la finale più lunga del torneo inglese in oltre 140 anni di storia.

Oggi Roger si arrende all’unico nemico contro cui non c’è partita, l’età. Una resa a cui probabilmente seguiranno presto quelle deii suoi eterni rivali: Rafa Nadal, che ha stabilito il record di 22 Slam vinti, è alle prese con i suoi tanti acciacchi mentre Novak Djokovic sta combattendo contro se stesso (e il mondo) una battaglia privata che lo tiene spesso fuori dai grandi tornei.

Il record che conta di più

L’addio di Federer lascia aperto un interrogativo: in attesa di capire – ma ci vorranno anni – il vero peso sportivo di Carlos Alcaraz, nuovo n.1 al mondo, si può dire che lo svizzero è stato il più grande tennista di tutti i tempi? “Si tratta di una questione irrisolvibile, anche limitandola alla sola era Open – scrive Christopher Clarey nel suo libro – Bjorn Borg, Jimmy Connors, John McEnroe e gli altri campioni degli anni Settanta e Ottanta spesso saltavano gli Australian Open, che ai tempi era il più remoto e il meno prestigioso dei major. Connors, Borg e in generale i tennisti di quella generazione non consideravano la conta degli Slam il dato statistico distintivo del loro sport. Se avessero saputo, forse avrebbero fatto qualche viaggio in Australia in più”.

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Federer

Di sicuro Roger Federer si porta nel suo buen retiro in Svizzera un bel po’ di record, ma non è quello a cui è più affezionato. “Per quanto mi piacciano i record, credo che la parte davvero bella è quando li infrangi, non quando ce li hai – raccontò a Clarey – perché è un momento che nessuno può portarti via. Tutti i record sono fatti per essere infranti, ma quando compi quel passo o fai quel salto dove nessuno era mai stato prima, ecco, quello è davvero stimolante”.

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