“Vi racconto il nuovo rinascimento del tennis italiano”. Intervista a Vincenzo Martucci

AGI – Quello appena trascorso è stato un anno pieno di soddisfazioni per il tennis italiano. Fognini e Berrettini guidano un gruppo di giovani promesse, tra cui spicca il talento di Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, che fanno sperare in un futuro sempre più roseo tra tornei internazionali e Coppa Davis. Un anno, tra Covid, cancellazioni e riprese, che consolida un lavoro iniziato qualche lustro fa dalla Federazione e di cui ora si è iniziato a raccogliere i frutti.

Un anno di ‘Rinascimento’, come lo chiama Vincenzo Martucci, per tanti anni ‘firma’ della Gazzetta dello Sport con cui ha seguito 8 olimpiadi, più di 80 tornei dello slam e oltre 20 finali di Coppa Davis, nel suo libro ‘Il Rinascimento del tennis italiano” (Pendragon, 2020) che può contare di alcuni contributi di Paolo Bertolucci, ex grande giocatore e oggi tra i più apprezzati commentatori televisivi.

Martucci, oggi consulente della Fit, ha spiegato all’Agi punti forti e punti deboli dei protagonisti di questa rivoluzione tennistica, il ruolo della stessa Federazione e cosa il 2021 potrà regalarci, pandemia permettendo.

Generazione Cecchinato

Sono due i nomi da cui si parte per comprendere al meglio le radici di questo cambiamento. “Nel mio libro dedico un capitolo a Fognini e Cecchinato che sono stati i primi a trainare questa rivoluzione e questa nuova immagine del tennis italiano che io specificherei che non è soltanto nei singoli risultati ma anche nella loro continuità. Abbiamo avuto negli anni dei ‘lampi’ da giocatori che nel libro chiamo ‘incompiuti’ e a cui è mancato sempre qualcosa: non avevano piedi rapidi come Camporese, resistenza come Canè, talento tennistico come Cancellotti e Pistolesi, o non avevano abbastanza cattiveria come Pescosolido”.

Poi è arrivata la semifinale al Roland Garros conquistata da Cecchinato nel 2018. “Cecchinato è l’elemento di rottura per due motivi: da una parte riporta l’Italia a livello di semifinale di un grande Slam e dall’altra perché non rappresenta il modello del giocatore di talento o di grandissima qualità, ma quello di un giocatore costruito. Quando parlo di ‘Generazione Cecchinato’ mi riferisco a quel tipo di giocatore ‘di mezzo’ che per una serie di circostanze che racconto nel libro si affrancano dall’etichetta di giocatore normale che fa le qualificazioni del grande torneo o fa risultati medi in tornei di medio livello. Ma è quel tipo di giocatore che all’improvviso non solo arriva in una semifinale del Roland Garros ma batte campioni come Djokovic. Arriva cioè a un livello impensabile a ridosso dell’eccellenza”.

Per Martucci un giocatore costruito attraverso il ‘sistema’ italiano che così riassume: “Una palestra straordinaria di tornei Challenger e satellite che prima non esistevano e che sono ottimi per misurarsi. Un grandissimo aiuto economico, di strutture, di fisioterapisti e massaggiatori, che la Federazione italiana dà ai gruppi privati e a tutti i giocatori over 18.

E infine la possibilità di avere un colloquio continuo con i due tecnici del centro tecnico federale, Volandri e Rianna, che sono sempre a disposizione. Tutti questi elementi creano un collante per cui un giocatore medio come Cecchinato può sognare di arrivare al vertice”.

L’orgoglio di Fognini e l’essere ‘chioccia’ 

“Se non ci fosse stato l’exploit di Cecchinato, Fognini forse si sarebbe persino ritirato”. Racconta Martucci parlando del percorso che il tennsita ligure ha intrapreso dopo l’impresa di Cecchinato a Parigi. “Era convinto di aver raggiunto il massimo, aveva problemi fisici e di comportamento evidenti, e non riusciva ad andare oltre i quarti di finale di uno Slam. Poi sia con l’aiuto della moglie e dei figli ma anche, e soprattutto, l’exploit di Cecchinato che lo supera nella classifica mondiale, tutto cambia”.

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© CreditDANIEL BOCKWOLDT / DPA VIA AFP

Fabio Fognini

Tutto questo insomma “crea quella positiva voglia di migliorarsi e di fare meglio che poi è stata la molla per la sua ripartenza”. Fognini rilancia completamente la sua carriera. “La sua era la voglia di tornare a essere competitivo facendo sì che non fosse solo quello ‘negativo’ che appariva in campo. Arrivano così lo splendido successo di Montecarlo e l’ennesima vittoria contro Nadal che, arrabbiato per un’altra brutta sconfitta, getta benzina sul fuoco nell’orgoglio del ligure dicendo ‘ho giocato la mia peggior partita’. Tutto questo contribuisce, insieme alla Lever Cup dove fa un po’ la figura del bambino con i ‘coach’ Nadal e Federer, a far sì che Fognini cambi passo e decida di operarsi a tutti e due i piedi, una delle sue armi migliori. Se ne va in Puglia con Barazzutti, non uno tenero, e si rimette con la testa sotto. Tutto perché vuole giocare ancora due-tre anni ad alti livelli. E sicuramente, visto oggi il livello sulla terra rossa, al Roland Garros e a Roma un pensiero lo ha fatto”.

Accanto a tutto ciò c’è il ruolo di guida per i giovani che stanno adesso frequentando il circuito. “Ha una grande stima per Sinner ma ancora più grande per Musetti che ha voluto come compagno di doppio. Si sente quello più grande, una chioccia e questo, per lui che è padre, contribuisce a gasarlo”.

Berrettini e il 2021 pieno di cambiali

Alle spalle di Fognini c’è Berrettini, il 24enne romano che oggi è numero uno d’Italia. “In quest’anno sfortunato a causa Covid è stato paradossalmente fortunato perché non ha dovuto ripetere la grande stagione precedente”. Il tennista avrebbe infatti dovuto confermarsi e combattere con la pressione che questo comporta.

“La stessa pressione che in qualche modo ha subito Cecchinato dopo il suo anno di grazia. Ma il problema di Berrettini è soprattutto un problema fisico: non è molto reattivo con i piedi e questa è una cosa che lo mette in difficoltà soprattutto quando esce dal servizio, una delle sue armi principali. Deve quindi lavorare molto su questo e nello stesso tempo combattere contro la sfiducia arrivata da alcuni risultati negativi”.

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ANNE-CHRISTINE POUJOULAT / AFP

 Matteo Berrettini

Berrettini, secondo Martucci, non ha una personalità straripante come Fognini, Sinner o Musetti. “è molto un ‘bravo ragazzo’ con un allenatore, Santopadre, ancora più ‘bravo’ di lui. Questo può essere un limite. Nel 2021 gli scadono delle cambiali importanti e dovrà difendere molti punti. È importante vedere come reagirà”.

Berrettini, conclude, “ha un grande servizio, un gran dritto, un rovescio molto migliorato. Ma basta vedere la partita con Ruud a Roma per capire dove sono i problemi: fisici e di personalità che riguardano la cattiveria e l’aggressività da mettere in campo nei momenti importanti del match, quelli che servono poi per portarlo a casa. Gli manca quel qualcosina che rischia di metterlo in difficoltà”.

Sinner e l’attesa per un grande 2021

Una cattiveria agonistica, una freddezza che sembra mancare a Berrettini ma che non manca a Sinner. “Una delle sue più grandi qualità è quella di saper ricomporsi. Basti vedere la finale di Sofia dove ha perso un secondo set che poteva dare il là a qualcosa di drammatico. Invece si è rimesso a giocare nel terzo set portando a casa il torneo. Questa cosa di ritrovarsi, azzerare e rimettere insieme i pezzi è una qualità fondamentale e innata. Piatti, il suo allenatore, lo ha aiutato moltissimo in questo”, ricorda Martucci.

“Aggiungiamo le gambe straordinarie che ha, anche grazie allo sci, per cui non colpisce mai fuori equilibrio e accelera in maniera straordinaria”. Ma anche il giovane fenomeno del tennis italiano ha punti deboli. “Lo vedo nella top ten ma non riesco al momento a vederlo tra i primissimi al mondo, parlo delle prime tre posizioni, perché gli manca ancora la capacità di inventare, di fare qualcosa di particolare e inaspettato in un momento importante. Quel suo essere tedesco, che lo aiuta in tante cose, non so se gli permetterà di avere quel necessario pizzico di fantasia più avanti”.

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© BORISLAV TROSHEV / ANADOLU AGENCY 

Jannik Sinner

Nel 2021 lo aspetteranno tutti al varco. “Sì, lui e il suo allenatore forse non potranno più dire ‘calma, vediamo dove può arrivare’ o ‘ogni partita impara qualcosa’ anche perché il nostro è un Paese terribile, con una forte impronta calcistica, dove si passa dalle stelle alle stalle velocemente. Quando arriverà un periodo di delusione o di critica, come lo vivrà?”, aggiunge.

La sorpresa ‘Lorenzo Sonego’

Il tennista piemontese ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi dodici mesi. “La prima volta che l’ho visto alle qualificazioni degli Internazionali di Roma ho pensato: ‘Ma questo qui dove è stato finora?’. È un giocatore che non ti aspetti che ha delle caratteristiche molto particolari. Un giocatore offensivo, che si butta a rete, che cerca sempre una soluzione. Ha un allenatore, Arbino, che ha messo in questo progetto tutte le sue esperienze nella costruzione di questo prototipo di giocatore particolare che, all’inizio non capisci bene quanto forte possa essere, ma poi vedi che serve bene, risponde sempre, corre per tutto il campo, appena può va a rete e riesce a giocar bene in tutte le superfici”, ricorda Martucci. Poi c’è un altro dettaglio fondamentale “è un ragazzo molto intelligente, umile, che impara da tutti e che si fa volere bene nel circuito”.

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©
JOE KLAMAR / AFP

Lorenzo Sonego

La genialità di Lorenzo Musetti

“Ha la fortuna di poter crescere alle spalle di Sinner. Loro sono molto amici ed è stato lo stesso altoatesino a dire che Musetti ha più talento tennistico di lui”, ricorda ancora Martucci. “Sa fare tutto ed è più genio e sregolatezza. Se questa sregolatezza riesce a essere ben incanalata tutto diventerà ancora più interessante. Dipenderà dal suo allenatore”, Simone Tartarini, “nel senso che lo allena da sempre e ora dovrà essere in grado di dargli quel qualcosina in più”.

Poi il paragone che racconta quanto Musetti abbia potenzialità. “Mi ricorda tanto Panatta sia come gioco che come personalità, perché non ha paura di provare e inventare ed è capace di creare gioco. Una qualità dei fenomeni. Bisogna vedere se riuscirà ad aggiungere una base solida di fisico, resistenza, tenuta mentale. Fognini lo ha scelto per giocare il doppio con lui e riconosce in questo ragazzo le stigmate del campione. Probabilmente vorrebbe che non perdesse tempo come è capitato, ad esempio, a lui o alla Schiavone.

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©  ANGELO CARCONI / POOL / AFP

Lorenzo Musetti

Gli altri

“Sono tutti giocatori a cui purtroppo manca qualcosa. Ogni qualvolta vedo giocare Mager penso: ‘Ma perché questo non vince?’. Caruso ha grandissime qualità. Adesso c’è anche Pellegrino che tranquillamente può esprimersi a buoni livelli”.

Per Martucci il periodo è favorevole anche per loro: “È un gruppo di giocatori che, come successe a Cecchinato, in una situazione particolare, particolarmente motivati possono essere competitivi anche ad alti livelli. Avere 11 giocatori in un tabellone dello Slam può significare che questi momenti favorevoli possano davvero verificarsi e se tu sei pronto, quando ciò accade, puoi vivere quello che è già accaduto a Cecchinato”.

Il rinascimento della Federazione

Per Martucci ha un ruolo fondamentale in questo processo di crescita del movimento tennistico italiano. “Questa federazione, guidata da Binaghi, ha preso in mano all’inizio degli anni duemila una situazione drammatica. Sono stati risistemati i conti degli Internazionali d’Italia trasformando il passivo in un attivo di 12 milioni di euro l’anno. Sono state messe a posto le cause di lavoro che aveva la Federazione e che bloccavano tutto. è stato creato un circuito di tornei Challenger e satellite che permette ai giovani di fare esperienze e ai vecchi di finanziare la propria attività. è stato risolto il problema di spaccatura tra il centro tecnico federale e i club privati con il tennista italiano che è diventato di tutti”.

A questo Martucci aggiunge la parte di tennis giocato. “Non dimentichiamo che quando il tennis è stato cancellato da Wimbledon, Montecarlo, Amburgo e Madrid, in Italia si è riprogrammata Roma, si è creato il torneo di Pula in Sardegna, si sono giocati i campionati italiani che mancavano da tanto tempo. Anche la Wta è ripartita dopo il lockdown da Palermo. Tutti esempi di come è stato fatto un grande lavoro a livello di organizzazione”.

Poi c’è la parte relativa all’immagine e alla comunicazione. “La Federazione si è data un’immagine di un’azienda di medio livello: ha creato 12 anni fa una televisione, una cosa unica tra le tutte le federazioni italiane, con i rischi connessi. L’accordo con Sky che quest’anno è saltato per le difficoltà che tutti conoscono legate alla pandemia potrà stringersi di nuovo e, se anche non dovesse essere così, la Federazione sarà attenta a qualsiasi altra forma di comunicazione e diffusione dei propri contenuti e delle proprie eccellenze”.

“Ha conquistato tanta fiducia dopo l’organizzazione delle Next Gen a Milano. E l’anno prossimo con le Atp Finals di Torino, che rimarranno in Italia per 5 edizioni, avrà un fatturato annuo di 60 milioni euro che cambierà completamente le dimensione di tutto quello di cui stiamo parlando. Insomma, questo testimonia il grande lavoro fatto è che oggi è il collante che contribuisce allo sviluppo del rinascimento tennistico italiano”.

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Coppa Davis

Il sogno della Coppa Davis

Si tornerà a giocarla alla fine dell’anno con una formula nuova che ricorda quella dei mondiali di calcio. Un obiettivo vero, un appuntamento da cerchiare in calendario. “Io credo che oggi come oggi, guardando classifica e potenzialità, l’Italia per me è tra le prime tre nazioni al mondo. E la nuova formula ci favorisce visto che non si hanno più quelle 3-4 finestre durante l’anno dove si dovevano convincere i tennisti a giocare quando erano presi dalla loro programmazione”. Il punto debole sembra il doppio. “Bisogna lavorarci su ma già la volontà di lavorare di Fognini in quella direzione con Musetti è un buon segno”. 

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