Violenza sulle donne, uno studio dell’Iss cerca le ‘cicatrici’ nel Dna
AGI – La violenza lascia ‘cicatrici’ sul Dna delle donne che la subiscono, e capire fino a che punto queste modifiche si estendano all’interno del genoma delle vittime, e quanto durano i loro effetti nel tempo potrebbe essere la chiave per mettere in atto una prevenzione ‘di precisione’. A questo scopo è partita la fase multicentrica del progetto EpiWe (Epigenetics for Women), che chiede la collaborazione di tutte le donne, attraverso la semplice donazione di un campione biologico.
L’iniziativa, insieme a un video realizzato per invitare le donne a partecipare, è stata presentata oggi nel corso di un convegno dal titolo ‘Epigenomica della violenza sulle donne, studio multicentrico’. “La violenza contro le donne e un problema di salute pubblica globale persistente che riguarda tutte le classi sociali e le etnie con una notevole influenza negativa sulla salute delle donne – afferma Rocco Bellantone, Presidente dell’Iss -. L’individuazione precoce, gli interventi adeguati e la cooperazione multidisciplinare sono fattori cruciali per contrastare la violenza di genere. La ricerca pubblica e la sanità pubblica svolgono un ruolo centrale nell’individuazione dei fattori di rischio e di protezione e nella comprensione del legame tra la violenza e gli effetti a lungo termine sulla salute delle donne.
Questo lavoro transdisciplinare ha come obiettivo principale quello di proporre una serie di strategie innovative e/o d’interconnessione per garantire alla donna che ha subito violenza, un’assistenza di lungo periodo cosi da contrastare e limitare l’insorgenza di patologie croniche e non trasmissibili che potrebbero avere origine proprio dal trauma subito. “La Sanità Pubblica – aggiunge Bellantone – riveste un ruolo centrale nell’identificare i fattori di rischio e di protezione e nel rafforzare la ricerca. E l’Iss con le sue ricercatrici e i suoi ricercatori supporta programmi e azioni al fine di garantire a tutte le donne e a tutte le ragazze una vita senza violenza e senza le sue conseguenze sulla salute”. Lo studio pilota EpiWE pubblicato nel 2023 e di cui l’Iss è l’ente promotore in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e la Fondazione Ca’ Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, aveva già dimostrato che la violenza è in grado di alterare a livello epigenetico i geni delle donne vittime di violenza, modificandone cioè non la struttura ma l’espressione.
“Quei risultati preliminari, che erano stati ottenuti analizzando un pannello di 10 geni – spiega Simona Gaudi coordinatrice di EpiWe ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute – sono stati il punto di partenza per lo sviluppo dello studio multicentrico, che prende il via grazie all’accordo di collaborazione tra il Ministero della salute-Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) e l’Iss. L’azione Centrale del ministero permetterà di avere un numero maggiore di donne da arruolare nella ricerca, per riuscire a studiare il profilo epigenetico non di pochi geni, come è stato fino a ora, ma dell’intero genoma. E di farlo con continuità, nel tempo avviando programmi di follow up: invitando le donne a donare nel corso del primo incontro dopo la violenza un campione biologico da analizzare, e anche a tornare a farlo ancora”. La nuova fase prevede il coinvolgimento di 7 unità operative e di 5 regioni – Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. Grazie alla medicina territoriale e ai suoi ambulatori, pronto soccorsi, case antiviolenza, asl, le donne vittime di violenza relazionale o sessuale saranno informate sulla possibilità di donare un loro campione biologico e di tornare per valutare nel tempo la possibile variazione epigenomica attraverso la raccolta di più campioni, per intercettare in ognuna di loro il prima possibile gli eventuali danni di salute intervenendo a livello multidisciplinare e integrato per prevenirli. L’obiettivo è quello di riuscire a coinvolgere il maggior numero possibile di donne con prelievi di sangue almeno per 18 mesi, per 4 prelievi in totale, uno ogni sei mesi. Al momento del prelievo, e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress-correlate. Per la raccolta di dati è stata sviluppata una scheda informatica ad hoc, che consiste di 4 domande di contesto, 5 domande per indagare il rischio di recidiva violenta, quindi un questionario di 18 domande per individuare un’eventuale sindrome da stress post traumatico. “Quello che stiamo dimostrando a livello territoriale – riprende Gaudi – è che la violenza influisce sulla salute del genoma in un modo tale che i suoi effetti a volte si manifestano 10-20 anni dopo. Questo ci dicono i dati. Ma a noi vogliamo dare supporti molecolari a questi dati, in modo tale che analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo saremo in grado di dire che quella donna potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune”.
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