Dove i tamponi mancano e si curano come infetti i pazienti con due sintomi

“Non possiamo prescrivere tamponi e consideriamo malati chi ha due sintomi di Covid-19. Un centinaio dei miei pazienti sono sintomatici, 10 sono morti, di questi due avevano meno di 65 anni, 4 sono ricoverati, 8 in ossigenoterapia intensiva domiciliare, una quarantina sono guariti”.

Lo dice in un soffio la dottoressa Paola Bocchi medico di base ad Alzano Lombardo, in Val Seriana, la zona più martoriata dal coronavirus. I suoi pazienti li conosce uno a uno. La sentiamo la sera tardi al telefono perché tutto il giorno lo passa in ambulatorio o a fare visite domiciliari. Non ci si può fermare. “I miei pazienti Covid li vado a trovare ogni 2 giorni, e li chiamo tutti i giorni per i parametri” racconta all’AGI. 

È stanca, non solo per il dramma di questa epidemia, che pare reggere bene, ma per la burocrazia e i problemi che ha mostrato il sistema sanitario regionale.

Tanto per cominciare “non è vero che i medici di base possono chiedere di far fare i tamponi ai propri pazienti che presentano dei sintomi del virus. Il tampone si fa solo in ospedale”.

Ma come, ancora non avete la possibilità di chiedere i tamponi quando lo ritenete opportuno?

“Assolutamente no. Continuiamo a non poterli prescrivere. Abbiamo ricevuto le linee guida dalla Ats di Bergamo e Regione Lombardia, nelle quali ci dicono di considerare Covid un paziente che presenta 2 sintomi, proprio come se avesse fatto il tampone. Poi in base alla gravità possiamo prescrivere il Plaquenil” ma anche su questo punto, ci sono state due direttive, perché si tratta di un farmaco sperimentale e non si riesce a recuperare in tutte le farmacie.  “Quasi ogni giorno ci arriva una nota di chiarimento – aggiunge la dottoressa Bocchi – possiamo prescriverne solo una scatola, far firmare il consenso, poi alla fine del  trattamento compilare una scheda dati a scopo scientifico”.

“In pratica se un paziente ha due sintomi del virus noi lo ’identifichiamo’ come Covid ma non lo ‘accertiamo’”.

E questo adesso sta creando un altro problema a catena: “alcune persone guarite ci dicono che i datori di lavoro per farli rientrare in ditta chiedono il tampone che accerti la guarigione. Cosa impossibile in quanto non c’è neanche quello che attesta che si erano contagiati”.

Dalle Usca, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, attivate dalla Regione, state avendo un supporto?

“Mah qui, per tutta la Val Seriana, l’Usca è formata da 2 medici che fanno turni di 6 ore. Gli avevo segnalato una mia paziente, è stata contattata solo una volta telefonicamente. A me non hanno poi dato alcun feed back, non c’è un collegamento. Direi che le Usca possono essere di aiuto nel caso in cui ci siano dei medici di base ammalati, questo sì”.

Dottoressa Bocchi, lei settimane fa aveva lanciato un audio appello molto incisivo, per chiedere a tutti di portare la mascherina, perché “siamo tutti infetti fino a prova contraria”. Ma c’era comunque il problema di reperirle. Adesso le mascherine ci sono?

“Dall’Ats sono arrivate quelle chirurgiche, ma molte persone ce le hanno regalate. Perché quando facciamo una vista domiciliare a un paziente Covid serve una mascherina con filtro FFP2 e non quella chirurgica”.

La replica dell’Ats di Bergamo

“Allo stato attuale delle indicazioni regionali, i tamponi sono in carico alle Agenzie di Tutela della Salute e non alla medicina territoriale (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e continuità assistenziale)”. La precisazione arriva dall’Ats di Bergamo, che replica così all’intervista alla dottoressa Paola Bocchi, medico di base di Alzano Lombardo.

“Considerare paziente Covid positivo chi ha due o piu’ sintomi tra cui febbre, tosse, dispnea o stato confusionale è un’indicazione che ha un valore predittivo molto elevato nell’attuale fase epidemica della Bergamasca – scrive l’Ats – . In ordine alla prassi adottata dalla dottoressa citata (visita ogni due giorni e controllo quotidiano dei parametri) si conferma che la prassi stessa e’ in linea con quanto richiesto da Regione Lombardia per la cura dei pazienti e, in particolare, per la sorveglianza di pazienti Covid al domicilio”.

“Prima dell’epidemia di coronavirus i medici di base non potevano prescrivere la clorochina (nome commerciale Plaquenil), un vecchio farmaco antimalarico prodotto in esigue quantità. La disponibilità aumenterà a breve” assicurano

“Siamo incorsi in una situazione eccezionale: un virus nuovo e sconosciuto che ci ha colpiti su larga scala – continua l’Ats Bergamo -. Fare diagnosi ‘esatte’ per tutti non era possibile. La diagnosi di caso probabile per la gestione del paziente, come dice la stessa dottoressa (Paola Bocchi, ndr.), è stata comunque ottima, la migliore che si poteva fare nelle condizioni attuali. Accertare la guarigione di un’intera popolazione è più complesso. Come si vede le strategie di rientro sono un problema a livello mondiale. Regione Lombardia sta lavorando per definire una strategia chiara per tutti”.

Infine un riferimento al lavoro che stanno svolgendo le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale per le visite domiciliari ai pazienti Covid piu’ gravi, che il medico di base ha la facolta’ di contattare secondo necessitàò. Usca con le quali, come spiegava Bocchi all’AGI non c’è molto collegamento. “In provincia di Bergamo l’Agenzia di Tutela della Salute – a seguito delle indicazioni di Regione Lombardia – ha immediatamente attivato sei Usca a disposizione dei medici di medicina generale le quali hanno già effettuato, dal 27 marzo, 670 visite” rivendica l’Ats.

Quanto ai dispositivi di protezione individuale di cui per settimane si è discusso, ed anche ad Alzano erano difficili da reperire, l’ATS Bergamo precisa che “dal 28 febbraio al 29 marzo ha distribuito 54.579 DPI alla medicina territoriale (medici, pediatri e continuità assistenziale): 33.958 mascherine chirurgiche, 12.944 maschere FFP2, 75 camici/tute, 670 saturimetri, 4.200 confezioni di gel per le mani, 2.732 paia di guanti. Le distribuzioni sono naturalmente in corso di settimana in settimana”.

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