Il duello durato mesi tra Ilaria Cucchi e Matteo Salvini

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Chissà se le scuse arriveranno mai, anche se oggi Ilaria Cucchi le ha chieste esplicitamente. Intanto Matteo Salvini ha dovuto abbandonare i toni liquidatori, o peggio, con cui finora ha affrontato non solo il caso della morte di Stefano Cucchi, ma anche le richieste della famiglia di questi di avere la verità.

Il leader leghista, oggi ministro dell’Interno, e la giovane donna che non si è stancata un giorno di pretendere di sapere cosa fosse successo al fratello, si sono scontrati più volte negli ultimi mesi. L’una postando su Facebook le foto dei militari sospettati di aver partecipato a vario titolo a quegli avvenimenti, l’altro replicando con tweet e post. Usando anche parole molto forti.

E Salvini evocò Calabresi

Il 5 gennaio scorso la foto di un carabiniere indagato per la morte di Stefano Cucchi, pubblicata da Ilaria sul suo profilo, scatena la reazione Matteo Salvini. “È un post che mi fa schifo. Mi ricorda tanto il documento contro il commissario Calabresi”, dice l’allora segretario federale della Lega Nord. “Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo”, “si dovrebbe vergognare” aggiunge.

Salvini rievoca il clima dei primi anni ’70 contro il commissario Calabresi, ucciso al culmine di una campagna di odio per la morte sospetta di un anarchico, Giuseppe Pinelli, all’interno della Questura di Milano: “La storia – spiega – dovrebbe insegnare. Qualcuno nel passato fece un documento pubblico, erano intellettuali sdegnati contro un commissario di polizia che poi fu assassinato”. “I legali fanno bene a querelare la signora e lei dovrebbe chiedere scusa”, è la conclusione del ragionamento di Salvini. Che non manca di ribadire: “Io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri. Se l’1% sbaglia deve pagare, anche il doppio. Però mi sembra difficile pensare che ci siano poliziotti o carabinieri che hanno pestato per il gusto di farlo”. 

“Il fratello lo hanno ucciso a me”

A questo punto lei chiude, con una nota amara, la questione: ‘Preferisco non commentare uno come Salvini… Lui non capisce il mio dolore. Un fratello l’hanno ammazzato a me e non a Salvini’. Quanto alle scuse, “dovrebbe essere qualcun altro a chiederle, ma a me e alla mia famiglia perché quel qualcuno sapeva ed ha taciuto per sei anni… ascoltando le registrazioni delle intercettazioni si prova qualcosa di agghiacciante a distanza di sei anni e quello mi ha spinto a pubblicare quella foto che mostra la differenza nella fisicità, tra quella persona e quello che è rimasto di mio fratello’.

Una dedica a Venezia

Il duello riprende qualche mese dopo. Al Festival di Venezia viene presentato tra sette minuti di applausi “Sulla mia pelle”, il film che il regista Alessio Cremonini ha dedicato alla vicenda. Forte del successo della pellicola, Ilaria Cucchi ha un pensiero per Salvini, che adesso siede al Viminale.

“Questo film è molto attuale, assistiamo proprio in questi giorni e in queste ore a chiari esempi di non voler vedere persone o gruppi di persone in quanto esseri umani. Questo film – dice la donna – lo voglio dedicare a Salvini e a tutti coloro che si auguravano e continuano ad augurarsi che di questa storia e di tante storie come le nostre non se ne parli più”. Risponde il ministro:  “Vedrò volentieri il film su Stefano Cucchi e incontrerò, se è loro desiderio, la famiglia al ministero per ascoltare le loro ragioni e spiegare cosa farò da ministro”.

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 Afp

 Matteo Salvini

Ora è lei che pretende le scuse

Le ammissioni del carabiniere Francesco Tedesco, di cui si è venuto a sapere oggi, rovesciano la situazione. Quello che ne emerge è la storia di un pestaggio violento. Ilaria Cucchi non si lascia andare ad atteggiamenti sopra le righe, ma va davanti alle telecamere di Rainews24 e scandisce: “Oggi mi aspetto le scuse del ministro dell’Interno. A Stefano e alla nostra famiglia per tutto quello che ha sofferto”.

La parola “scuse” non viene pronunciata da Salvini, che ribatte: “Caso Cucchi, sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale. Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l’eroismo quotidiano di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell’ordine”. Non vi si legge la parola “scuse”, certo, ma nemmeno più l’espressione “mi fa schifo”.

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