La fuga verso la libertà degli atleti cubani

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FREDERIC J. BROWN / AFP

 Yasmany Lopez

L’ultimo disertore dello sport cubano si chiama Yasmani Lopez, ha 31 anni, di professione fa il calciatore. Gioca come centrocampista difensivo nel Ciego de Avila, club dell’omonima città a 400 chilometri a est da L’Avana. Tre giorni fa commentava l’esordio nella Gold Cup, torneo internazionale disputato tra selezioni del continente americano che si disputa in contemporanea alla più nota Copa America, contro il Messico spiegando che lui e compagni erano scesi in campo per dare tutto quello che avevano “mettendoci il cuore”. La gara, per inciso, era finita 7-0 per il Messico.

Subito dopo, però, ha Yasmani Lopez ha fatto perdere le sue tracce. Ha salutato i compagni e lasciato il ritiro della nazionale, dando l’addio al paese. È diventato disertore, l’ennesimo nella storia dello sport dello stato socialista. Ora cercherà di rifarsi una vita altrove, probabilmente negli Stati Uniti.

Fuga per la libertà

“È una sua decisione, l’ha presa e messa in pratica. Nessuno della delegazione di Cuba ha niente a che fare con la sua scelta”, ha spiegato in conferenza stampa l’allenatore della nazionale cubana Raul Mederos.

La fuga di Lopez riaccende i riflettori su un fenomeno, quello della diserzione sportiva, che a Cuba ha una lunghissima tradizione. Ogni partita in trasferta, ogni competizione all’estero, lontane da quei centomila chilometri quadrati che per Cristoforo Colombo sono “i più belli su cui gli occhi umani si siano mai posati”, rappresentano da decenni l’occasione per fuggire, chiudere con la propria terra e ricominciare.

La storia dello sport cubano è puntellata di esempi simili: la campionessa di pallavolo Tai Agüero, per esempio, che nel 2001 fuggì da un albergo di Montreux, in Svizzera, dove si trovava con la nazionale per trasferirsi in Italia. Il governo di L’Avana aveva imposto il ritorno in patria a lei, che ai tempi aveva già vinto due Olimpiadi e giocato a Perugia, e a tutti gli sportivi cubani in giro per il mondo.

“Ci misi un anno a organizzare tutto, alla fine decisi di scappare”, ha raccontato al Messaggero. Lo fece di notte, sotto la pioggia. E diciotto anni dopo, naturalizzata italiana, continua a giocare nel nostro paese con cui ha vinto anche due Europei. A Cuba, però, non le è mai stato consentito di tornare, neppure per assistere la madre in fin di vita.

Una fuga in grande stile fu quella di quattro calciatori, Keiler García, Arael Argüellez, Darío Suárez e Ariel Martínez, che dopo la gara contro gli Stati Uniti nella Gold Cup 2015 (finita 6-0 per gli yankees) fecero i bagagli e salutarono la comitiva: a Cuba, dei 23 giocatori partiti per il torneo, tornarono in 19.

Sette anni prima, nel torneo preolimpico Concacaf del 2008, l’avventura dei ‘Leoni dei Caraibi’ finì ancora peggio: a disertare, quella volta, furono sette calciatori. Contro Panama, Cuba giocò senza riserve in panchina: in ritiro era rimasta solo una dozzina di calciatori, di cui uno squalificato. In totale, scrive As, dal 2002 sono stati 26 i calciatori cubani ad aver abbandonato la squadra per cercare rifugio altrove.

Stipendi bassi e futuro oscuro

L’elenco di disertori è lungo. Ci sono pugili come Guillermo Rigondeaux e Erislandy Lara che, nel 2007, provarono a fuggire salvo essere scoperti e riportati a Cuba di forza (ma nel giro di due anni avrebbero avuto la meglio e sarebbero scappati); ci sono giocatori di baseball, come Orlando ‘El Duque’ Hernández e René Arocha, e poi ancora canoisti e giocatori di hockey.

Nel 2015, ai Giochi panamericani di Toronto, otto membri della squadra abbandonarono mazza e palla e salutarono la compagnia. In quella missione, contando l’intera delegazione cubana, i disertori furono 28.

Non avevano alcuna intenzione di tornare sull’isola, là dove lo stipendio degli sportivi oscilla tra i 18 e i 62 dollari al mese (per chi vince medaglie olimpiche), che è sì più alto della media nazionale ma nemmeno paragonabile ai contratti che potrebbero strappare altrove. Per essere assunti all’estero, però, occorre chiedere un permesso speciale il cui rilascio è tutt’altro che scontato. Far semplicemente perdere le proprie tracce, a quanto pare, è più facile.

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