“La notte in cui decidemmo di far uscire le salme sui camion militari”

AGI – “Organizzammo di sera il primo trasferimento il 18 marzo perché volevamo fare meno clamore possibile ma era difficile nascondere il passaggio in pieno centro di 10 camion dell’esercito con le auto dei carabinieri avanti e dietro”.

Giuseppe Regina, tenente colonnello del Comando Provinciale dei carabinieri di Bergamo, aveva il compito di pianificare il trasporto delle persone morte per Covid sui mezzi militari. Nonostante l’accortezza di farlo quando ormai il cielo era scuro, fu quello il momento lampante che segnò un prima e un dopo nella storia della pandemia, rilanciato in tutto il mondo sui social da una fotografia di enorme impatto emotivo, opera di un giovane steward di RyanAir.

Perché furono utilizzati i camion dell’Esercito

Due anni dopo, Regina è al suo posto nell’ufficio da cui ha coordinato le operazioni di sicurezza nella giornata della commemorazione delle vittime del Covid che ha portato il presidente della Camera Roberto Fico in città. “Ero qui – racconta all’AGI – quando quella fotografia venne pubblicata. La vidi ma non ebbi il tempo di pensare che avrebbe segnato un passaggio storico. In quei giorni avevamo altro a cui pensare”.

Spiega come nacque l’idea dei camion: “Benché lavorasse a pieno regime il forno crematorio di Bergamo poteva occuparsi di meno di 30 salme in 24 ore quando in quei giorni morivano anche duecento persone al giorno. Visto che gli ospedali erano pieni, carabinieri, Prefettura, il Comune di Bergamo e poi gli altri limitrofi decisero di creare tre hub, il primo nella Chiesa del cimitero cittadino, dove far confluire i corpi per evitare ulteriori problemi sanitari. All’inizio arrivavano persone morte in ospedale, poi anche nelle abitazioni”.

“Per smaltire i corpi – e qui Regina manifesta il suo pudore per l’espressione troppo burocratica – decidemmo di rivolgerci ad altre città fuori della Lombardia che era tutta messa male. In una delle tante riunioni si pose il problema del numero dei carri perché le pompe funebri avevano un personale ridotto a causa del Covid e non erano in grado di offrire il servizio. L’Esercito mise a disposizione i camion e facemmo il primo trasferimento di 65 salme verso Modena e Bologna. Dovevamo dare una rispostra forte ai familiari delle persone decedute”.

“I parenti volevano sapere l’ora della partenza”

I parenti non sapevano in che città i loro cari sarebbero finiti ma c’è un fatto che si ripetè molte volte e che, dice Regina, “mi emozionò molto”. “Succedeva che chiamavano non per sapere dove avremmo portato i loro cari, ma a che ora sarebbe partito il loro viaggio e da dove perché in quel momento avrebbero potuto rivolgere un pensiero o fare una preghiera”. “Onestamente quelle telefonate mi hanno segnato” ripete il carabiniere.

Le urne con le ceneri sarebbero state consegnate alle famiglie proprio da chi aveva portato i corpi altrove. 

 “A volte ai sindaci dei paesi, altre direttamente alle famiglie. Spesso a bordo di quei camion c’erano persone che conoscevamo, a volte amici e anche ex colleghi. Per tutti  avevamo lo stesso sentimento di affetto e pietà, li abbiamo accompagnati come se fossero familiari. Il nostro spirito era quello di salutarli per chi non lo poteva fare”.

Nei mesi successivi c’è stato chi ha sostenuto che quei camion e quelle bare fossero un fotomontaggio. Regina misura le parole: “C’è chi dice che la terra è piatta ma ormai sappiamo che non è così”.  In quel marzo di lutto profondo nella caserma del Comando Provinciale dei carabinieri di Bergamo si verificò quello che Regina definisce “un miracolo”. Nessuno dei carabinieri si ammalò di Covid. 

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