Mezza Italia alle prese con la siccità. E le prospettive non sono buone

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 Foto: Emanuele Perugini

 Lago di Bracciano, siccità (estate 2017)

A Nord-Ovest e lungo il Tirreno fiumi e laghi in secco. A Est, sulle coste adriatiche e a Sud fino alla Sicilia, acqua in abbondanza.

C’è una linea che attraversa in senso longitudinale il nostro paese e che segna due scenari profondamente diversi tra loro: da una parte una siccità che sembra annunciarsi molto seria e dall’altra, al contrario, un quadro che vede il pieno recupero dei bacini idrici che vanno dal Friuli fino alla Sicilia.

C’è anche il rischio che neanche le piogge di questi giorni possano riuscire a colmare il deficit idrico tra le due aree del paese.

Il paradosso sta tutto nei numeri che raccontano della secca del Po e degli invasi siciliani già colmi e quasi al limite della loro capacità di trattenere acqua.

Il Settentrione è il più colpito

Quella che preoccupa è naturalmente la siccità al Nord che sembra interessare il quadrante più occidentale.

E’ dal mese di gennaio che sono cominciati ad arrivare i primi segnali preoccupanti, quando le tempeste che subito dopo la Befana hanno portato copiose nevicate si sono concentrate prevalentemente sui versanti settentrionali dell’arco alpino, soprattutto in Baviera e in Austria con accumuli molto consistenti e superiori anche al metro.

In quella occasione, una sacca di alta pressione aveva impedito che le precipitazioni interessassero anche i versanti meridionali, quelli italiani delle Alpi, lasciando a secco gli impianti sciistici in Trentino.

Se però a gennaio era assolutamente prematuro parlare di rischio siccità, ora l’allarme è conclamato.

Almeno per il settore occidentale delle Alpi siamo in piena siccità. A raccontarlo in maniera eloquente è il Po, il grande fiume che con i suoi 71.000 chilometri quadrati di bacino idrografico drena le acque di gran parte dell’Arco Alpino centrale e occidentale e dell’Appennino Settentrionale.

Alla stazione di Boretto oggi il livello del grande fiume è a meno 2,44 metri rispetto alla soglia dello zero idrografico e la tendenza è in leggero ma costante calo.

Per avere un raffronto, basta ricordare che all’inizio di agosto del 2017, in piena estate dunque e nell’anno della grande siccità era a -3 metri e 8 centimetri. 

Un fenomeno in aumento

La siccità non è però una novità, e anzi, pare essere un fenomeno che, per questa area del paese sembra essere in aumento.

“Se guardiamo alle dinamiche di lungo periodo – spiega Massimiliano Pasqui, ricercatore dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinatore dell’Osservatorio Siccità – si osserva un aumento significativo degli eventi siccitosi in questa area del paese”.

Significa che episodi di siccità più o meno intensa sono sempre più frequenti e questo si traduce in uno stress molto più intenso sui corpi idrici che fanno fatica a recuperare e a tornare a livelli ottimali.

Un fenomeno aggravato dalle temperature sempre crescenti che mettono a rischio i ghiacciai e dunque le riserve idriche destinate ad alimentare i corsi d’acqua nella stagione estiva.

Alla fine di febbraio l’anticiclone Frauke ha mandato in tilt tutte le centraline di rilevamento della temperatura in Europa, con un impatto davvero significativo.

“Sulle Alpi Graie in Piemonte afferma Claudio Cassardo, meteorologo dell’Università di Torino – nella stazione ARPA di Lago Agnel (a 2300 metri di quota) il termometro non è sceso sotto zero per tre giorni consecutivi, pur essendoci sotto la capannina uno spessore di oltre un metro di neve al suolo”.

“Anche la stazione più in alto, sulla cima della Gran Vaudala (a oltre 3200 m di quota), ha fatto registrare una massima di oltre 7 gradi. Sono solo due dei numerosissimi esempi che si potrebbero citare”.

“I ghiacciai alpini fondono quindi abbondantemente già a febbraio, e a fronte di un inverno non particolarmente abbondante in neve, queste caldazze suscitano parecchia preoccupazione”.
Eventi siccitosi più frequenti e temperature sempre più calde rallentano il recupero dei corpi idrici e anche di quelli su cui facciamo affidamento per dissetare le città.

Emblematico il caso del Lago di Bracciano che, proprio nell’estate del 2017, è stato protagonista della crisi idrica della Capitale.

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A distanza di quasi due anni dallo stop delle captazioni, il lago è ancora a -145,5 centimetri dallo zero idrometrico, cioè a livelli che sono ben al di sotto della soglia stabilita dalla Regione Lazio per poter usare le sue acque in caso di necessità.

Se nei prossimi mesi la siccità dovesse acuirsi, Roma non potrà contare sulla sua riserva strategica.

“Per il momento – dichiara Erasmo D’Angelis, segretario generale dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Centrale – non sembra esserci alcun rischio per l’area dell’Italia centrale che ricade sotto la nostra giurisdizione (Marche, Umbria, Abruzzo e gran parte del Lazio)”.

Non illudiamoci: queste piogge non bastano

Tuttavia la guardia è alta e la situazione è strettamente monitorata. “Resta uno stato di attenzione generale e tra una ventina di giorni riuniremo di nuovo l’Osservatorio permanente per gli usi idrici e valuteremo di nuovo l’evoluzione della situazione”, aggiunge D’Angelis.     

Anche le piogge di questi giorni non devono trarre in inganno. “Questi – sottolinea Pasqui – sono mesi abitualmente molto piovosi, è dunque normale che piova. Il punto è capire se pioverà sopra la media in modo da compensare l’acqua che è mancata nei mesi precedenti”.
Le stime elaborate proprio dal Consiglio Nazionale delle ricerche non sembrano però essere incoraggianti.

“Le proiezioni che abbiamo elaborato per i prossimi tre mesi – prosegue – indicano che avremo un livello di precipitazioni nella media stagionale se non addirittura al di sotto della media”.

Se le proiezioni dovessero trovare conferma nelle prossime settimane significa che ci troveremo ad affrontare la stagione calda, quella in cui i consumi aumentano alle stelle, con un deficit idrico, che in certe aree è consistente.

“Contrastare la siccità significa mettere in campo azioni che permettano di mitigare la carenza delle risorse nei momenti più critici, come per esempio i mesi estivi. Forse in questo caso – conclude – è arrivato il momento di trovare in tempo soluzioni efficaci che consentano di affrontare la crisi”. 

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