Sara Simeoni e l’oro olimpico, un sogno avverato

AGI – “L’oro alle Olimpiadi di Mosca è ancora oggi un sogno che si è avverato, senza di quello mi sarebbe rimasto l’amaro in bocca: sono cresciuta con il mito olimpico. I presidenti della federazione nazionale che si sono susseguiti dopo Nebiolo mi hanno fatto tramontare il progetto giovanile del Club Italia che era molto valido, un vero peccato”. Lo racconta all’AGI Sara Simeoni, icona dello sport italiano, ‘Regina’ del salto in alto, campionessa olimpica ai Giochi di Mosca nel 1980. Mercoledì 19 aprile festeggerà 70 anni. Simeoni,

178 centimetri, troppo alta per essere inserita tra le ballerine della ‘Scala’ (era sempre stato un suo sogno), è sempre stata molto elegante nel suo gesto tecnico, icona per i suoi capelli ricci, talvolta timida e atleta di grande forza di volontà. Per quattro anni tra il 1978 ed il 1982 è stata primatista mondiale con due metri ed un centimetro.

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©  AGF

Dove e con chi festeggerà il settantesimo compleanno?

“Festeggerò con parenti vicini ed amici e ci saranno alcune mie compagne di squadra, Alessandra Bonfiglioli, Fausta Quintavalle, Giuseppina Cirulli, Erica Rossi e Carla Mercurio”.

Simeoni vive a Rivoli Veronese, paese sulle pendici del monte Brenta all’imbocco della lunga valle dell’Adige, assieme ad Erminio Azzaro, prima suo tecnico e poi anche suo marito.

“Se guardo al gesto tecnico, sicuramente l’oro con il record del mondo a Praga ’78 è stato molto importante ma anche l’argento con due metri a Los Angeles è stato una sorpresa perché ero afflitta dai dolori al tendine d’Achille. Diciamo che mi avevano dato quasi per atleta finita e alla fine, anche il fatto di essere stata l’alfiere della squadra, mi sono sentita più responsabile e la medaglia è arrivata”.

Tornando all’estate del 1980, Sara Simeoni ricorda le Olimpiadi del trionfo.

“La vigilia era stata caratterizzata da momenti di incertezza perché non sapevamo se potevamo partire: all’ultimo momento è stato deciso, ‘no solo gli atleti militari’. Avevo paura perché volevo assolutamente vincere, sapevo di essere la più forte perché da due anni detenevo il record del mondo, sapevo che era la mia grande occasione ma prima della finale mi tremavano le gambe. Fortunatamente mi sono rilassata, sono ritornata in me, ho gareggiato e vinto una gara rocambolesca. Per sentirmi italiana, dato che non c’erano Inno e bandiera tricolore, bensì quella con i cinque cerchi olimpici a seguito del boicottaggio, sul podio mi sono messa a canticchiare ‘Viva l’Italia’ di Francesco De Gregori”.

Rispondendo alla domanda sul mito olimpico un po’ sopito, Simeoni dice, “è vero perché adesso ogni anni c’è un evento importante, una volta gli Europei erano ogni quattro anni e le Olimpiadi anche mentre i Mondiali fino al 1983 non esistevano”, e aggiunge, “noi avevamo paura di farci male e per questo cercavamo di preservarci il più possibile”.

In merito all’evoluzione del primato mondiale, quelli del salto in alto sono tra i più vecchi dell’atletica, il 2,09 della bulgara Stefka Kostadinova risale al 1987, il 2,45 del cubano Javier Sotomayor al 1993.

“Negli anni ci sono state alcune brave atlete che avrebbero superare i 2,10, tra esse anche la croata Vlasic ma poi preferivano finalizzare i premi finali dei meeting di alto livello. Vediamo come uscirà dalla stagione invernale perché l’ucraina Jarosláva Mahucich sembra essere lanciata verso misure molte elevate. Tra gli uomini peccato che Barshim si sia infortunato, su di lui avrei messo  la mano sul fuoco”.

Sara è stata una piccola rivoluzionaria della tecnica.

“Sono cresciuta col ventrale ma appena ho visto in televisione Dick Fosbury saltare come nessuno aveva mai saltato ho deciso che quella era la mia strada, poi ho aggiunto del mio sentendo molto le disparità di trattamento nei confronti di un’atleta donna”.

A fine carriera, Simeoni si è dedicata per alcuni anni al settore giovanile collaborando con la federazione ma poi è stata ‘dimenticata’.

“L’allora presidente della Fidal, Nebiolo  mi chiese di restare nello sport e ho iniziato con il Club Italia, un progetto che funzionava molto bene perché a fine anni ’80 coinvolgeva 800 ragazzi in tutte le regioni italiane e i migliori cento erano inseriti nel Club nazionale. Dal presidente Gola hanno iniziato a depotenziare questo progetto dicendo che non portava risultati. Voglio ricordare che attraverso il Club Italia sono passati tanti campioni arrivati fino alla nazionale A (la squadra assoluta di oggi, ndr), gli ultimi Baldini (oro olimpico in maratona), Didoni (campione del mondo nella marcia) e Vizzoni (argento olimpico nel martello)”.

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