Tre anni fa il terremoto di Amatrice, storia di una lunga notte

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TIZIANA FABI / AFP 

Amatrice 

Quasi trecento morti, una cittadina fiorente e dalla storia secolare ridotta pressoché in macerie, le inevitabili polemiche sulle case venute giù con troppa facilità, sulla rimozione delle macerie, sulla ricostruzione. Tre anni fa, alle 3:36 di notte del 24 agosto 2016, la terra ha tremato ad Amatrice (e non solo), una scossa di terremoto di magnitudo 6.0 registrata dai sismografi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) nel territorio del Comune di Accumoli, in provincia di Rieti, a circa 8 chilometri di profondità.

Il sisma, percepito nitidamente da Bologna a Foggia, distrusse quasi completamente i quattro centri abitati situati in prossimità dell’epicentro: oltre ad Accumoli vennero demolite Amatrice, sempre nel Lazio, Arquata del Tronto e la sua frazione di Pescara del Tronto, nelle Marche. Ma i danneggiamenti, più o meno consistenti, interessarono una moltitudine di Comuni delle province di Rieti, L’Aquila, Ascoli Piceno e Perugia.

Più di 300 morti

Le vittime “dirette” del terremoto furono 299, 239 delle quali concentrate nel solo territorio di Amatrice, stracolmo di persone sia per il periodo estivo, che come ogni anno richiamava in terra reatina una moltitudine di turisti e titolari di “seconde case”, gente originaria del luogo ma trasferitasi altrove – per lo più a Roma – per motivi di lavoro o familiari, sia per l’immediata vicinanza con la tradizionale sagra degli spaghetti all’amatriciana, evento tra i più famosi di tutto il nord del Lazio, che in quell’anno era in programma il 27 agosto, tre giorni dopo la tragedia.

Nei mesi successivi al sisma altre 4 persone persero la vita, portando il conteggio definitivo delle vittime a 303. Un numero al quale si aggiungono 388 feriti e 41 mila sfollati, costretti ad abbandonare le proprie abitazioni per motivi di sicurezza, o per precauzione. L’impatto della scossa delle 3:36 – alla quale seguirono altre violente scosse di replica, tra cui spicca quella di magnitudo 5.3 registrata quasi un’ora dopo, alle 4:33 – fu devastante: interi borghi vennero spazzati via, tra la moltitudine di paesi e paesini che costituivano le tantissime frazioni di Amatrice e Accumoli, e la stessa conformazione dell’area rese difficilissime le prime operazioni di soccorso e salvataggio, vista la difficoltà di raggiungere i piccoli centri nelle primissime ore dell’emergenza.

Il costone di roccia su cui poggiava l’abitato di Pescara del Tronto collassò a valle, occupando per mesi una carreggiata della strada statale Salaria, che riportò danni lungo alcuni dei viadotti della zona. L’intero territorio, su tutto il versante, subì un abbassamento geologico stimato tra i 15 e i 20 centimetri, provocando una mutazione nella conformazione del suolo che, come si scoprirà in futuro, pregiudicherà i processi di ricostruzione in intere porzioni dei Comuni di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto.

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La macchina dei soccorsi

In pochi, all’inizio, riuscirono a percepire la reale portata degli eventi: i primi aiuti arrivarono a notte fonda, con i paesi spaccati a metà, avvolti nella polvere e nelle esalazioni di gas, il cui silenzio era rotto soltanto dalle ripetute grida di aiuto che provenivano da ogni parte, uniti agli antifurto delle automobili da sassi e pietre. Soltanto il sorgere del sole, intorno alle 6, diede l’esatta istantanea di uno scenario da Apocalisse.

L’allora sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, fu raggiunto per primo dai microfoni di Radio Rai, poco dopo le 4 del mattino, e pronunciò in diretta la frase passata ormai alla storia “il paese non c’è più, Amatrice non c’è più”; frase che, seppure indirettamente, innescò una macchina dei soccorsi senza precedenti, con colonne mobili di Protezione civile, volontari di associazioni militari, laiche e religiose, forze dell’ordine, vigili del fuoco, militari dell’esercito, provenienti da ogni parte d’Italia.

Si scavò con mezzi meccanici e a mani nude per ore e ore, senza sosta, per estrarre i corpi dalle macerie. Alcune frazioni, ad Amatrice come ad Accumoli, furono raggiunte soltanto molte ore dopo la prima, devastante scossa, complice anche una viabilità interna ridotta a brandelli dalla furia del sisma, che per settimane rese difficoltosi gli spostamenti da e per le zone terremotate.

Agli sfollati furono offerte diverse opzioni di assistenza: la possibilità di recarsi in strutture ricettive del litorale adriatico, che avevano dato la propria disponibilità ad ospitare persone, la possibilità di potersi sistemare per conto proprio, presso parenti o conoscenti, beneficiando di un contributo di autonoma sistemazione (Cas) messo a disposizione dalla macchina degli aiuti, oppure la possibilità di trasferirsi temporaneamente presso le Soluzioni abitative d’Emergenza (Sae), che da li’ a pochi mesi vennero installate in tutto il territorio del cratere. E che ancora oggi, a distanza di tre anni, ospitano la stragrande maggioranza delle persone residenti nelle zone terremotate.

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 Agf

Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice 

L’ultimo saluto e le nuove scosse

I funerali di Stato delle vittime del terremoto furono celebrati in due diverse funzioni: il 27 agosto 2016, presso la cattedrale di Ascoli Piceno, si celebrò la cerimonia di commemorazione delle 50 vittime di Arquata e Pescara del Tronto; tre giorni più tardi, il 30 agosto 2016, ad Amatrice, vennero celebrati i solenni funerali delle 249 vittime di Amatrice e Accumoli. Ad entrambe le funzioni presero parte il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e le più alte cariche dello Stato, civili e militari, oltre agli amministratori locali e ai parenti delle vittime.

Il 26 ottobre 2016, alle 19:11, una nuova, violenta scossa di terremoto venne registrata nel territorio di Castelsantangelo sul Nera, in provincia di Macerata, nelle Marche. La scossa, di magnitudo 5.4, fu seguita da un nuovo violento fenomeno di intensità 5.9, registrato alle 21:18 nel territorio del Comune di Ussita, non lontano dal primo epicentro. Le due scosse hanno provocato innumerevoli crolli in tutto il Centro Italia, causando il ferimento lieve di alcune persone. A Tolentino un uomo mori’ colpito da un malore, a seguito dei fenomeni sismici.

Quattro giorni più tardi, il 30 ottobre 2016, alle 7:40 del mattino i sismografi dell’Ingv registrarono una scossa di terremoto di magnitudo 6.5, la più forte mai registrata dai tempi del terremoto dell’Irpinia del 1980. Il sisma, che fu percepito fino alle zone interne dell’Austria e dall’altra parte del Mare Adriatico, nei Balcani, ebbe come epicentro la zona della provincia di Perugia compresa tra i Comuni di Norcia, Preci e Castelsantangelo sul Nera.

La portata del fenomeno di fine ottobre fu immensa in termini di danni registrati, ma fortunatamente non provocò altre vittime nel Centro Italia. Sotto i colpi del terremoto crollarono la basilica di San Benedetto e la cattedrale di Santa Maria Argentea, a Norcia, con la celebre frazione di Castelluccio ridotta a pezzi quasi totalmente. Il cratere dei Comuni danneggiati si estese enormemente, raggiungendo l’intero Centro Italia.

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 6 mesi dopo la scossa del 24 agosto, viaggio tra le macerie di Accumoli

Gli effetti sul territorio

Ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto venne assestato il colpo di grazia alle poche strutture rimaste in piedi dopo i terremoti di fine agosto, e i tre borghi vennero rasi completamente al suolo. Il sisma del 30 ottobre risultò avere conseguenze significative anche dal punto di vista geologico, modificando significativamente l’alveo del fiume Nera.

Il Monte Vettore, celebre cima dei Sibillini, riportò una spaccatura visibile da decine di chilometri. Il 18 gennaio del 2017, nell’arco di poche ore, si verificarono quattro scosse di terremoto di magnitudo superiore a 5: la prima alle 10:25 (magnitudo 5.1), la seconda alle 11:14 (magnitudo 5.5), la terza alle 11:25 (magnitudo 5.4), la quarta alle 14:33 (magnitudo 5.0), tutte con epicentro nelle zone di confine tra Abruzzo e Lazio.

Le scosse ampliarono ulteriormente il cratere dei Comuni danneggiati, che estese il suo perimetro fin dentro il cuore dell’Abruzzo, toccando i territori della provincia de L’Aquila già martoriati dal terremoto del 2009. Anche in questo caso, fortunatamente, non si registrarono vittime, ma le operazioni di soccorso alle popolazioni furono rese particolarmente complicate dalla violenta ondata di freddo e neve che già dall’inizio dell’anno imperversava in tutto il Centro Italia.

A causa delle scosse d’inizio gennaio, una parete rocciosa si staccò da uno dei costoni del Gran Sasso, collassando a terra e generando un forte boato, percepito nell’intera vallata. Ad Amatrice anche il campanile della chiesa di Sant’Agostino, che era sopravvissuto alle scosse di agosto e ottobre 2016, collassò al suolo. Molti piccoli comuni delle montagne abruzzesi rimasero isolati senza elettricità, e furono raggiunti dai soccorsi soltanto dopo molte ore.

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Seppure non fu mai provato con certezza, sono in molti a sostenere che i fenomeni sismici della mattina del 18 gennaio 2017 hanno avuto una diretta correlazione con la valanga che poche ore dopo, alle 17 e 40 dello stesso giorno, si è abbattuta contro l’hotel Rigopiano, a Farindola, in provincia di Pescara, distruggendo la struttura ricettiva e intrappolando al suo interno 40 persone. Di queste 11 furono tratte in salvo dai soccorritori, nel corso delle operazioni durate una settimana intera. 29 le vittime, rimaste intrappolate sotto le macerie dell’albergo, sommerso dalla neve e dal fango.

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