Caster Semenya dovrà sottoporsi a cure per ridurre il testosterone

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Caster Semenya

Nessuna riammissione alle gare per la mezzofondista sudafricana Caster Semenya. Il ricorso presentato dall’atleta è stato respinto oggi dal Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (Tas) che ha confermato le nuove regole della Federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf) circa la riduzione dei livelli di testosterone per atlete che ne producono troppo (un’anomalia genetica chiamata iperandrogenismo). Quasi immediata la reazione di Caster Semenya che sui social ha pubblicato la scritta “a volte la migliore reazione è evitare di reagire”. 

Se la 28enne mezzofondista campionessa olimpica in carica degli 800 metri – come del resto anche altre atlete – vorrà ritornare alle competizioni dovrà sottoporsi ad una cura ormonale. Le nuove norme della Iaaf ( l’Associazione internazionale delle federazioni di atletica leggera) entreranno in vigore a partire dal 9 maggio e prevederanno che per competere in ambito femminile il livello di testosterone nel sangue non superi la soglia di 5 nanomoli per litro.

L’anomalia genetica dell’atleta

Non è la prima volta che Caster Semenya finisce nel mirino della Iaaf: nell’agosto del 2009, dopo un impressionante 1’55”45 ai Mondiali di Berlino che la portò alla vittoria, l’atleta allora diciottenne venne sottoposta a un test per stabilirne il sesso. La questione si risolse soltanto un anno più tardi con il via libera, da parte della stessa Iaaf, a Semenya, che non soffrirebbe di semplice iperandrogenismo ma di disordine della differenziazione sessuale (Dsd).

“Quando parliamo di disordini della differenziazione sessuale (Dsd) parliamo di disturbi che, nella maggior parte dei casi, si realizzano per motivi genetici nella fase dello sviluppo embrionale e fetale – spiega all’Agi Fabio Lanfranco, andrologo e ricercatore di Endocrinologia all’Università di Torino -. Per svariate ragioni avviene un’alterazione dei livelli di testosterone nel feto”.

Il testosterone, l’ormone maschile per eccellenza, è quello responsabile della definizione sessuale nel corso della gravidanza: “Affinché un embrione geneticamente maschio, cioè dotato di un cariotipo maschile (con cromosomi di tipo XY), diventi maschio anche fisicamente è necessario che dalla 11esima o 12esima settimana di gravidanza compaia il testosterone”, prosegue Lanfranco. Se questo non accade “lo sviluppo naturale va verso un fenotipo, e quindi un aspetto fisico, femminile”.

L’ipotesi, spiega Lanfranco, è quindi che Caster Semenya sia “un maschio genetico che non ha avuto testosterone in gravidanza e perciò non ha sviluppato genitali maschili, venendo quindi allevata come femmina i cui livelli di testosterone, oggi, sono elevati”. In teoria alti tassi di ormoni maschili nelle donne possono dipendere anche da altre ragioni: “Esistono disturbi acquisiti in età adulta, ma in quei casi non si parla più di Dsd ma di iperandroginismo” e non pare essere il caso dell’atleta sudafricana.

La questione, oltre ai risvolti sportivi e politici (sul tema si è speso anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa), pone grossi interrogativi soprattutto da un punto di vista medico: “Decidere di intervenire sull’assetto ormonale è una scelta molto delicata anche dal punto di vista etico”, sostiene Lanfranco, “modificare l’assetto ormonale di una persona certamente avrà come effetto una riduzione del benessere, della forza fisica e anche della performance sportiva. Un conto è vietare il doping; un altro è imporre un cambiamento negli ormoni che naturalmente si hanno. Non è mica una cosa che ha deciso lei, né lo fa dolosamente”. 

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