No, non hanno arrestato due dirigenti della Thyssen per il rogo di Torino

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Notizia aggiornata alle 14,50 con la precisazione che i due dirigenti non sono stati arrestati

La notizia che due dirigenti della Thyssen erano stati arrestati in Germania per il rogo del 2007 aveva fatto levare inni alla giustizia che, lento pede, era arrivata anche per le sette vittime della notte tra il 5 e il 6 dicembre nello stabilimento di Torino. La notizia era stata diffusa dall’agenzia tedesca Onvista secondo cui “il tribunale distrettuale di Essen ha dichiarato ammissibile l’esecuzione delle sentenze emesse in Italia, come riferito nei giorni scorsi da un portavoce della Corte”.

Ma le cose non stanno esattamente così. Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati per il rogo, non sono stati arrestati, ma il tribunale di Essen in primo grado, ha dichiarato “ammissibile” l’esecuzione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’assise d’appello di Torino. E’ stato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, con un post su Facebook, a spiegare qual è la situazione.  

Espenhahn è stato condannato in Cassazione a 9 anni e 8 mesi e il consigliere del gruppo Priegnitz a 6 anni e 10 mesi. 

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I due manager hanno però impugnato le decisioni, arrivate tra metà gennaio e inizio febbraio, e non potranno essere arrestati prima che si pronunci la corte d’appello di Hamm, hanno riferito i media tedeschi.

Se arrestati, in Germania sconterebbero non più di cinque anni di carcere, la pena massima prevista per l’omicidio colposo. Bonafede era intervenuto per chiedere un chiarimento alla procura di Essen dopo un recente servizio televisivo delle Iene che aveva adombrato il pericolo che la giustizia tedesca non ottemperasse alla sentenza italiana per possibili vizi procedurali.

E la Germania che fa?

Già dal luglio scorso, peraltro, erano state fornite alla Germania tutte le sentenze italiane sul caso con la traduzione in tedesco. Ora è arrivata la pronuncia del tribunale di Essen che sostanzialmente ha stabilito che non vi sono motivi ostativi sostanziali o procedurali all’esecuzione delle condanne per i due manager. 

Tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, nello stabilimento torinese del colosso siderurgico tedesco un getto di olio bollente investì otto operai a causa di un’esplosione. Sette morirono nel giro di un mese, mentre solo uno si salvò. 

I processi

La vicenda penale inizia nel 2008: a carico dell’ad i pubblici ministeri formulano l’ipotesi di reato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso, mentre altri 5 dirigenti vengono accusati di omicidio colposo ed incendio colposo (con l’aggravante della previsione dell’evento); viene contestata l’omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici, e viene rinviata a giudizio anche l’azienda come persona giuridica.

Il 15 aprile 2011 le prime condanne: la Corte d’assise di Torino, conferma i capi d’imputazione a carico di Herald Espenhahn, ad della società, condannandolo a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Altri cinque manager dell’azienda (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) vengono condannati a pene che vanno da 13 anni e 6 mesi a 10 anni e 10 mesi.

Il 28 febbraio 2013 la Corte d’assise d’appello modifica il giudizio di primo grado, non riconoscendo l’omicidio volontario, ma l’omicidio colposo, riducendo anche le pene ai manager dell’azienda: 10 anni a Herald Espenhahn, 7 anni per Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni per Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, 9 per Daniele Moroni.

Il 24 aprile 2014 la Cassazione conferma le colpe dei sei imputati e dell’azienda, ma ordina un nuovo processo d’appello per ridefinire le pene. Il 29 maggio 2015 un nuovo processo d’appello riduce le condanne per tutte e sei gli imputati: per Espenhahn la pena scende da 10 a 9 anni e 8 mesi, 6 anni e 10 mesi per i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, 7 anni e mezzo per il responsabile di Terni Daniele Moroni e per l’ex direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno, sei anni e otto mesi per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri. Fino alla sentenza della Cassazione che rende definitive le pene.

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